Chi non ha mai creduto di avere una neuropatia periferica dopo aver provato un comune formicolio agli arti inferiori o pensato ad un’angina pectoris dopo un dolore toracico che altro non era che un temporaneo dolore intercostale e allarmato, nella migliore delle ipotesi, ha contattato il proprio medico o, nella peggiore, scomodato il Dr.Google?
A fare questi esempi spesso ci vien da ridere per la conclusione spesso estrema a cui giunge la nostra mente ingarbugliata. In realtà, questa “paura” di esser vittima di qualche grave patologia per alcuni diventa una vera e propria compagna di vita che prende il nome di ipocondria.
Definizione, epidemiologia e caratteristiche
Il termine ipocondria deriva dal greco “ὑποχόνδρια”, composta da “υπό” (sotto) e “χονδρίον” (cartilagine del diaframma costale), una zona anatomica considerata nell’antichità sorgente dei “fumi melanconici”. Solo successivamente ha preso i connotati di un quadro patologico di natura psichica caratterizzato dalla paura infondata ed eccessiva riguardo la propria salute, a tal punto da ricondurre anche un lieve e sporadico sintomo ad una grave patologia
Nella popolazione generale ha una prevalenza tra l’1 e il 10%, non ci sono differenze tra i due sessi ed interessa più comunemente soggetti adulti anziché bambini ed adolescenti.
A voler essere precisi in ambito medico non si dovrebbe parlare più di ipocondria in quanto quest’ultima con il DSM5 si è sdoppiata in due disturbi: Disturbi da sintomi somatici e Disturbi da ansia di malattia. La differenza risiede relativamente nella presenza o meno di sintomi somatici.
Il disturbo, che per essere così definito deve ricoprire un intervallo temporale di almeno 6 mesi, si manifesta essenzialmente attraverso due profili comportamentali: richiedente l’assistenza ed evitante l’assistenza. I primi passeranno i loro giorni alla ricerca di rassicurazioni non solo da parte di persone a loro vicine ma rimbalzando soprattutto da un medico ad un altro. Chi rientra nel secondo profilo invece, con il fine di eliminare qualsiasi elemento che possa far incrementare il pensiero di malattia o addirittura farlo sorgere, eviterà qualsiasi contatto con operatori sanitari di ogni genere.
In entrambe le situazioni però ci sarà un comun denominatore: compromissione della qualità di vita. Queste persone andranno a pregiudicare la loro vita familiare e lavorativa senonché i rapporti interpersonali e in alcuni anche lo stato fisico. Inoltre, per molti comporterà perdita del proprio tempo e denaro oltre che rappresentare un costo per il SSN.
Vari sono i fattori che possono innescare tutto ciò. Sicuramente quelli maggiormente coinvolti sono i fattori ambientali come genitori iperprotettivi riguardo la salute dei propri figli, elevati livelli di stress ed esperienze relative a gravi malattie altrui.
Tra i fattori ambientali non bisogna assolutamente escludere (soprattutto in un contesto di ipermedicalizzazione come quello attuale) i media, i social network ed internet in generale che, agendo soprattutto da cassa di risonanza, incrementano paure ed ansia già presenti in questi pazienti. In tal caso si può parlare di “cybercondria“.
Un esiguo numero di studi ha poi dimostrato come nei parenti dei pazienti ipocondriaci vi sia spesso una più alta frequenza di disturbo da sintomi somatici, da ansia di malattia e d’ansia generalizzato, presupponendo quindi anche fattori genetici predisponenti.
Studi hanno mostrato come la terapia cognitivo-comportamentale e inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina possano facilitare la guarigione se associati ad un rapporto medico-paziente rassicurante.
Una finestra sulla “Sindrome degli studenti di medicina”
Una sfumatura di quella che comunemente viene chiamata quindi ipocondria è la sindrome degli studenti di medicina. Questa sindrome in realtà prende vari nomi come sindrome del secondo anno, sindrome del terzo anno o sindrome degli interni. Non è altro che una condizione psicologica riportata da studenti di medicina che sperimentano sintomi, oltre che paura, riguardo la malattia che stanno studiando in quel momento.
Chi non ha mai provato ciò che scagliasse la prima pietra! Studi, a partire dagli anni ’60, hanno mostrato come circa il 70-80% degli studenti di medicina sviluppi questa condizione nell’arco del suo percorso accademico. In merito a ciò è stato visto come in realtà questo è ancor più vero nei primi anni quando cioè lo studente si confronta con lo studio teorico di gravi malattie senza però avere ancora esperienza di queste nella pratica clinica.
L’avanzamento nel percorso accademico e la prevalenza di questa sindrome si sono mostrate in tal senso inversamente proporzionali dandoci quindi il razionale sulla bassissima prevalenza di medici ipocondriaci.
Vien da pensare che sia quasi un rito di passaggio che ogni studente di medicina deve superare. Magari per ricordarci in futuro di essere empatici con chi ci sarà di fronte in cerca di un aiuto.
Gli studenti dei primi anni sono avvisati!
FONTI| DSM5, Sindrome dello studente di medicina1, Sindrome dello studente di medicina2, Intervista ad esperto, immagine in evidenza