Ho avuto il piacere di intervistare il Dott. Gerardo D’Amico, v.Caporedattore della redazione Approfondimenti di Rai News e responsabile della informazione medico scientifica. Cura e conduce la rubrica Basta La Salute nella quale è cardine di congiunzione fra medici e telespettatori sui temi più discussi e sulle curiosità in ambito sanitario.
Come è nata la passione per la divulgazione medico-scientifica?
E’ stato un caso e una opportunità. Io sono laureato in scienze politiche, niente a che fare quindi con la medicina.
Agli inizi degli anni 90 lavoravo al Tg2 a Diogene, la trasmissione condotta da Lubrano e Pastore, avevo fatto delle inchieste su alimentazione, infermieri, medici, ma col taglio della cronaca. Piacquero molto all’allora Direttore La Volpe, che mi propose di passare da quella rubrica a Medicina 33. Gli feci presente che non avevo una preparazione specifica, non mi sentivo adatto, ma lui insistette e devo (ancora) ringraziarlo: a quell’epoca di giornalisti che si occupavano di salute ce ne erano davvero pochi, in Italia, e mi si aprì una buona opportunità professionale.
Iniziai a studiare, ad informarmi, a leggere riviste specializzate, ad entrare anche tecnicamente nel mondo della sanità con le sue leggi, decreti, mille differenze regionali e all’interno delle Regioni ma quando uscii dalla Rai, fui costretto a fare causa di lavoro per farmi assumere, mi presero immediatamente all’Espresso e poi a Telemontecarlo proprio per la specializzazione che avevo maturato.
Vinta la causa sono tornato in Azienda, e da un ventennio seguo questo settore: quindi si può dire che con la medicina è stato un matrimonio d’amore.
Se dovessi descrivere il modo attraverso cui comunichi la scienza, come lo faresti? Quali sono i tuoi punti di forza?
Parto sempre dal presupposto che non sono un medico, e pur approfondendo ogni aspetto riguardo all’intervista che devo fare, faccio le domande che porrebbe un qualunque paziente, con quella curiosità e soprattutto cercando di usare quel linguaggio. E come dovrebbe pretendere qualunque paziente, voglio avere risposte comprensibili: appena mi accorgo che il mio interlocutore parla il medichese “traduco” se si tratta di un termine, gli faccio rifare la risposta (se siamo in registrazione) se la cosa è più complessa.
E’ la comprensibilità che non sfocia nella banalizzazione, il percorso che cerco di imprimere alle mie interviste, ed è soprattutto questo il riscontro positivo che mi segnalano i telespettatori. Quelli che mi fanno i complimenti.
Poi c’è qualcuno che non gradisce le prese di posizione sui vaccini o l’omeopatia, in generale verso la pseudo medicina spesso ammantata dal suffisso “alternativa”: per loro sono venduto a questo o quello, e soprattutto sui social qualche volta si scatenano.
Per fortuna sono pochi, come le loro motivazioni.
Però ti dico anche i miei punti di debolezza: a volte tendo a parlare sull’ospite ( e non si fa), peggio ancora tendo a concludere una frase (ancora peggio). E’ che bisogna mantenere un ritmo e non tutti sono abituati a chiudere un concetto in pochi secondi: l’intenzione è buona, “dare una mano” visto che tutto il mio lavoro, anche quando produco un servizio chiuso-senza ospite- è impostato alla colloquialità, ma il risultato che qualche volta appare è che non mi sto mai zitto (qui, se fossimo in chat, ci andrebbe la faccina sorridente che fa l’occhiolino).
Il tuo lavoro con “Basta La Salute” è svolto nell’ottica di raggiungere l’utente per mezzo della televisione. Quali pensi siano le differenze internet? Come credi debba essere modificato lo stile comunicativo per adattarlo al meglio al web?
Sul sito rainews.it abbiamo una pagina dedicata alla salute, che funziona da archivio per le puntate della mia trasmissione ma ospita molti contenuti ad hoc: inchieste, notizie, interviste fatte per il web.
Sono due a mio avviso le differenze: la lunghezza della comunicazione, sul web funzionano molto le “pillole”, e la grafica, il web è ancorato alla modalità videoclip, con cui si è diffuso.
Ma bisogna intendersi su cosa si vuole ottenere, con la comunicazione web: è chiaro che fa più effetto la foto del bambino di spalle e la scritta sono morto da vaccino che non mezza pagina di spiegazione del perché quella sia una ignobile truffa, puro terrorismo che ha come risultato che poi davvero bambini ( e adulti) muoiano, ma perché il vaccino non lo hanno fatto: 4 lo scorso anno, 8 morti per morbillo, in Italia, quest’anno.
Io prediligo la modalità che sul sito rainews.it abbiamo sperimentato col webdoc dedicato proprio ai vaccini: interviste “a pillola”, poche righe di spiegazione, grafica coinvolgente.
Ma poi per informare correttamente lo spazio ed il tempo ci vuole. E il tempo dovrebbe trovarlo, per leggersi e guardare tutto, anche chi voglia seriamente informarsi su fatti tanto importanti per la propria salute.
Cosa non ti piace e cosa ti piace del modo di comunicare la salute online? Quale pensi sia il modello di comunicazione vincente online?
In qualche modo ne abbiamo appena parlato: non mi piacciono le fake news, le bufale corte o lunghe che siano. Soprattutto online poi si cede alla mania del “consiglio”, qualcuno si spinge alla diagnosi elettronica, ed è una aberrazione perché un mal di denti potrebbe essere una carie ma anche un problema neurologico, una mala occlusione, un tumore osseo: basarsi sul sintomo ed elargire sentenze senza avere di fronte il malato è da cialtroni. Pericolosissimi cialtroni.
Hai una grande esperienza nell’ambito della comunicazione di tematiche inerenti la salute. Pensi che ora il clima sia più aspro? A cosa lo imputeresti?
Sì, come dici il clima è più aspro, è quello il sapore del veleno. Quello instillato in anni di scemenze, verosimiglianze, pseudoscienza, bufale vere e proprie in ogni ambito, soprattutto quello della salute da gruppi di “naturopati”, alternativi, sciamani, new agesisti, e profittatori delle disgrazie altrui, perché sulle false notizie e le false cure c’è sempre qualcuno che ci fa soldi, tanti soldi: il tutto mentre Società Scientifiche, ricercatori e medici seri restavano da parte schifati e silenti, non rendendosi conto che si stavano scavando tunnel anche sotto la loro professione.
Oggi molti che vanno dal medico si portano dietro la diagnosi che si sono fatti da soli sul web, ed il medico fatica il doppio, a far passare terapie magari dure, come quelle contro il cancro, ma che salvano la vita.
Qualche volta si trovano di fronte i genitori di una diciassettenne malata di una leucemia che guarisce nel 98% dei casi con la chemio, ma che non si fidano del “veleno” chimico di cui hanno letto da qualche parte e la portano a morire in Svizzera, in una clinica di Hamer, fra atroci sofferenze.
Idem per la storia drammatica del piccolo Francesco, il bimbo di 7 anni morto per una otite che si cura con un farmaco da cinque euro, deceduto tra sofferenze indicibili perché i genitori fino alla fine si sono affidati al medico omeopata. Dopo due anni c’è la richiesta di rinvio a giudizio, per tutti e tre: e questo segnala che neppure la magistratura ha compreso l’eccezionale gravità di queste pseudocure, e dove porta la falsa scienza e quale sia l’impatto massivo su milioni di persone. Non basta neppure un bimbo morto straziato, a fargli capire che un processo del genere doveva partire la sera stessa dei funerali, per direttissima. E lasciamo stare la “punizione” inflitta a quel signore che ha “curato” Francesco dal suo Ordine dei medici, sei mesi di sospensione dalla professione. Sei mesi.
Tu però vuoi sapere se questo particolare periodo storico che stiamo vivendo faccia da humus a tutto questo: sì, purtroppo, chi spaccia quel veleno oggi ha molti più rappresentanti nelle istituzioni e molto più spazio sul web e organi di informazione, per diffonderlo.
Rispetto ad altri Paesi come Stati Uniti ed Inghilterra, la figura del medico che comunica attraverso la rete è ancora poco diffusa in Italia, a maggior ragione se si considera il formato video. Esiste forse una sorta di retaggio culturale. Pensi che tale prospettiva di cambiamento sia solo una questione di tempo o che le mutazioni in oggetto siano solo appannaggio di altri Paesi?
Ma no, il problema è che neppure io che abito nel centro di Roma ho a disposizione una connessione a fibra, andiamo avanti con l’ADSL: immagina in periferia. Il fascicolo elettronico ha preso piede in 4 regioni, la tessera sanitaria elettronica è ancora sperimentale, i centri che fanno telemedicina si contano sulle dita: c’è uno studio della Bocconi che dice che potremmo risparmiare fino a 9 miliardi di euro, se prenotassimo i nostri esami via Internet, e li ricevessimo a casa scaricandoli dal sito della struttura che ce li ha fatti, senza spostarci dalla scrivania. Fantascienza, se pensi che anche nei migliori ospedali se fai la tac poi lo specialista che ti ha in cura deve farsela portare a mano, da un piano all’altro.
Se però ti riferisci ai medici americani che si affacciano sul web sparando consigli e facendo videodiagnosi per acchiappare nuovi clienti, spero che in Italia rimanderemo a più tardi possibile questa sciagura.
Hai progetti futuri per il web? Ci puoi anticipare qualcosa?
Tra Tg e rubrica e pagina web attuale diciamo che non ho tempo di annoiarmi. Per il futuro, vedremo.