Non so se quel che vedevo in questi anni di tirocinio e quel mesetto di specialità è simile a quel che succede nel resto d’Italia, ma mi dicono di sì, circa da una quarantina d’anni.
Qui c’è stata una di Reggio Emilia che è stata a visitata lo stesso numero di volte di un tizio nato a Mumbai.
C’era un signore proprietario di una fabbrica di bulloni che aveva il pigiamino da ospedale di Armani, era stato portato qui dalla figlia che guidava un Cayenne. Lui dializzava di fianco a un ragazzotto italo-indonesiano cANCA positivo che ascoltava musica trap a tutto volume. Suo padre arrivava con una FIAT Duna.
Un ingegnere distinto di mezza età, stava discutendo con un pastore mormone che gli aveva attaccato bottone e non lo lasciava finire di guardare Netflix, sembrava esasperato poveretto, ma troppo timido per dirgli di smettere.
Un signore con un OSAS spaventosa teneva svegli i suoi malcapitati compagni di stanza, una giornata stavano arrivando quasi alle mani, poi per fortuna la sua lastra del torace ha permesso la dimissione e hanno ricominciato a dormire. Il giorno dopo, i due rimasti, erano intenti a discutere animatamente di politica: uno quando c’era LVI, uno quando c’era il PCI.
Qui il rene che arriva non guarda in faccia chi lo riceve, neanche nel portafoglio. Guarda la lista.
Un signore della bassa modenese ha chiesto a un medico come mai parlasse l’africano, visto che aveva visitato il suo vicino, Ghanese, in inglese.
Una paziente cantava la Tosca a squarciagola con voce da soprano mentre un corridoio più in là da un tablet usciva la voce di Cheb Khaled a intonare Aicha.
Nello stesso corridoio passano i meridionali e i settentrionali, le devote a Padre Pio e a Sai Baba, chi prega al mattino o chi alle cinque di pomeriggio verso est, chi la sera prima di addormentarsi e chi bestemmia ogni piè sospinto, i molti anziani e i pochi giovani, quelli che hanno qualche dente rimasto e quelli che si fanno il lifting, quelli che non sono mai usciti dalla provincia, quelli che sono arrivati in Italia in Business Class e quelli, anche, che ci sono arrivati a piedi.
C’è gente strana che gira, persone diverse, un turbinare di volti e di storie, che ricordano poi sotto sotto che a vedere i protagonisti nel punto più basso del bisogno in parte dimostra quanto siamo poi talmente tutti uguali da avere almeno il diritto di essere curati al meglio possibile. Senza dover calibrare l’antibiotico sull’assicurazione, ma più sul filtrato renale. Forse, in tutti i suoi limiti e in tutto l’impegno che dobbiamo metterci per migliorarlo soprattutto noi dall’interno, avere un Sistema Sanitario universalistico è la via migliore per mantenerlo umano.