La psicologia è una scienza umana che evoca immediatamente suggestione, fantasie e, non nascondiamocelo, al 90% di noi l’immagine di un paziente sdraiato sul lettino che espone i suoi problemi a un figuro austero con barba bianca, occhiali e quadernino degli appunti che ascolta imperturbabile. Ma siamo sicuri di avere un’idea chiara del ruolo dello psicologo?
Di cosa si occupa precisamente questa figura professionale? Qual è il suo paziente tipo e come affronta il percorso terapeutico? Forse non tutti sanno rispondere a queste domande, per questo ho deciso di interpellare una giovane collega, la dott.ssa Valentina Moscatiello, da poco approdata nel mondo di questo affascinante lavoro.
Dopo aver conseguito la laurea magistrale in psicologia clinica all’Alma Mater Studiorum di Bologna, inizierà quest’anno la Scuola di formazione di Psicoterapia ad Indirizzo Dinamico di Rimini. Attualmente si occupa di progetti di prevenzione e promozione del benessere, sia collaborando con la sede Jonas di Bologna sia come libero professionista.
- Innanzitutto facciamo un po’ di chiarezza: nel gergo comune ancora molte persone confondono figure quali psicologo, psichiatra e psicoterapeuta. Vediamo quindi di rispondere alla prima e fondamentale domanda, ovverosia quali sono le differenze tra queste figure professionali?
Lo psicologo è un professionista sanitario che opera al fine di sostenere, diagnosticare, prevenire, abilitare e riabilitare in ambito psicologico, sia il singolo che il gruppo che la comunità (art.1, legge 58/89). Nello specifico, le tre figure si differenziano sulla base di come intervengono. Lo psicologo si occupa di sostenere il benessere, mantenendolo o migliorandolo; si occupa inoltre di fare diagnosi e abilitare e riabilitare tutte quelle risorse, potenzialità e abilità che per un qualche motivo sono state interrotte nel loro sviluppo o compromesse come, ad esempio, a seguito di traumi. E ha quindi anche un compito di prevenzione, impedendo che si manifesti, ritorni o si aggravi una particolare situazione di disagio.
Lo psicoterapeuta, invece, è un medico o uno psicologo che dopo aver svolto un percorso di specializzazione ad hoc, secondo un preciso fondamento teorico, ne ha appreso le specifiche tecniche di intervento. Lo psicoterapeuta può agire modificando in profondità il funzionamento psichico, comportamentale e le eventuali dinamiche relazionali disfunzionali, intervenendo, quindi, sulla “personalità”.
Lo psichiatra è invece un medico specialista in psichiatria che, secondo un’ottica organicistica, interviene sui sintomi prevalentemente tramite trattamento farmacologico.
- Qual è il paziente tipo per lo psicologo quali sono le psicopatologie che tratta più comunemente?
Beh, lo psicologo non ha un paziente tipo e non tratta le psicopatologie, che sono di competenza dello psicoterapeuta. Egli accoglie chiunque abbia una questione che lo fa soffrire e, non scontato, desideri ridurla o affrontarla. Possono essere trattate quindi crisi personali e limitate nel tempo, come prendere una decisione importante, gestire una situazione di stress relazionale o lavorativo, accettare la scoperta di una malattia e così via. In questo senso lo psicologo può attuare un percorso di sostegno volto ad individuare le migliori risorse e strategie per la più funzionale e adattiva gestione del problema attuale.
- E come possiamo parlare di patologia senza poi far seguire una domanda sulla terapia? Lo psicologo non è un medico, questo ce lo siamo già detti, quindi viene spontaneo chiedersi quali siano le sue armi terapeutiche.
Il più grande strumento che lo psicologo possiede è quello del colloquio clinico, nonostante possa avvalersi simultaneamente anche di test e momenti di osservazione. Il colloquio permette di esaminare il paziente, indagando il funzionamento generale e le motivazioni del suo comportamento, portando così alla luce i suoi problemi e i suoi conflitti allo scopo di aiutarlo ad affrontarli e superarli.
In questo senso è il dialogo o, ancor meglio, la relazione, l’elemento cardine e intrinsecamente terapeutico del lavoro svolto dal professionista che, pur non essendo standardizzabile porta con sé il vantaggio di essere l’unico in grado di cogliere direttamente lo stile relazionale del paziente su cui poter lavorare nell’hic et nunc della seduta.
- Ritornando in parte alla prima domanda, una curiosità riguardo a come si diventa psicologi, da un punto di vista meramente pratico. Esiste infatti la laurea triennale, con la possibilità di affrontare poi i successivi due anni di magistrale, ed esistono persino delle specializzazioni. Che differenze ci sono in termini di qualifiche e possibilità lavorative a seconda del livello di istruzione conseguito?
Il conseguimento della sola laurea triennale permette di conseguire il titolo di “dottore in tecniche psicologiche”, iscrivibile all’albo B e con competenze ridotte rispetto allo psicologo laureato ad un indirizzo magistrale. Questo, previo lo svolgimento di un anno di tirocinio professionalizzante, può ricevere il titolo di “psicologo” a seguito dell’esame di stato abilitante alla professione e conseguente iscrizione all’Ordine Professionale della regione di appartenenza.
Ogni psicologo, sia che abbia scelto un indirizzo clinico, comunitario, scolastico o del lavoro e delle organizzazioni, può svolgere le sopracitate attività di sostegno, diagnosi, prevenzione abilitazione e riabilitazione.
Per quanto riguarda le diverse specializzazioni di psicoterapia, invece, queste sono davvero tante: dalla psicoanalisi, all’orientamento psicodinamico, a quello sistemico-relazionale, quello della gestalt e quello cognitivo-comportamentale, per citarne alcune tra le più diffuse.
Sicuramente il titolo di psicoterapeuta offre maggiori opportunità lavorative nella misura in cui permette di acquisire conoscenze utili per lavorare sulla personalità del soggetto ampliando il bacino possibile per la propria utenza, offrendo un maggior lavoro di fino. Quando si tratta di fare un lavoro di cura con le persone, ogni professionista lavora sinergicamente per lo stesso obiettivo. Così, non vi è garanzia di maggior efficacia di orientamento terapeutico sull’altro: l’importante è che il paziente accetti di affidarsi al professionista e che egli lavori con dedizione al primario fattore di cura, l’alleanza terapeutica.
- La realtà Italiana che si profila leggendo il report dell’ordine degli psicologi è abbastanza inglorioso, ovvero abbiamo oltre 100.000 psicologi iscritti all’albo con poco meno di 60.000 attivi. Uno psicologo ogni 1.000 abitanti circa, ma se diamo un’occhiata ai salari netti annui, il dato è notevolmente inferiore a quello degli altri colleghi dell’area sanitaria come i medici, gli odontoiatri o gli infermieri. Qual è il punto di vista di una professionista agli esordi di carriera? Manca la domanda, non c’è una corretta informazione, c’è un problema culturale di fondo…?
La disinformazione sicuramente c’è, basti pensare a tutta l’area della psicosomatica e di come si ricorra alla medicina ignorando la fonte del dolore che vive il corpo. La domanda ci sarebbe: violenza, razzismo, storie di abusi, sempre più subliminali e camaleontici (non solo riguardo le classiche droghe) sono il nitido disagio che abita la nostra civiltà. Purtroppo però in Italia è ancora molto forte lo stigma attribuito a chi va dallo psicologo: è qualcuno che ha qualcosa che non va.
Mi sento di rintracciare l’ostacolo più calcificato nel narcisismo, la difficoltà ad accettare di non farcela da soli assieme ad una sotterranea diffidenza del raccontarsi ad un “estraneo”. Ma non solo: la nostra epoca accarezza le nostre rigidità. Dobbiamo essere smart, pronti, reattivi, brillanti, capaci, capaci soprattutto; e allora non si ha tempo di andare dallo psicologo o, ancora peggio, non si ha niente e basta, spesso fino a convincersene.
Quello che dico sempre è che dallo psicologo non si va perché si sta male, dallo psicologo si va per stare meglio – anche se si sta già bene.