L’uomo, si sa, è affascinato da tutto ciò che non conosce e questo diviene ancor più veritiero quando si parla dello spazio.
Il 2018 è stato un anno prolifico circa gli obiettivi portati a termine in questo campo: dalla sonda InSight su Marte fino all’approdo sulla faccia nascosta della Luna da parte del lander Chang’e 4.
Pertanto, un futuro dove “traslocheremo” in vista di altri pianeti non sembra poi così utopico.
Rimane, quindi, da chiedersi cosa succederebbe all’ uomo se dovesse transitare per lunghi periodi nello spazio.
E soprattutto, come questo influirebbe sul nostro sistema immunitario?
Già in un precedente articolo si era evidenziato che profonde alterazioni vengono subite dal nostro sistema immunitario, sia nella componente innata che adattativa.
Il discorso sui cambiamenti del SI è divenuto ancor più attuale quando il professor Richard Simpson dell’università dell’Arizona, in collaborazione con la NASA, solleva il seguente quesito: appurato che il sistema immunitario viene “sconvolto” dalla microgravità, questi cambiamenti sono da intendersi come semplici adattamenti o anticamere nello sviluppo di patologie?
Tra l’altro, lo sviluppo delle stesse potrebbe inficiare con la corretta riuscita delle missioni spaziali.
LO STUDIO
In uno studio pubblicato su “Journal of Applied Physiology” viene gettata nuova luce sull’influenza che la microgravità può avere su un tipo particolare di cellule del sistema immune, le cellule Natural Killer (NK).
Infatti, le problematiche maggiori a cui gli astronauti sono esposti durante le missioni a lungo termine sono fondamentalmente due:
- Rischio di cancerogenesi: più tempo si passa nello spazio, più si è esposti al danno da radiazioni
- Rischio infettivo: che però, non è da intendersi dovuto a patogeni esterni, in quanto l’ambiente dove gli astronauti vivono è assolutamente sterile.
Piuttosto, il maggiore interrogativo è nelle infezioni che rimangono latenti nel nostro corpo ( es. Herpes Virus, Mononucleosi, ecc) e che possono, in condizioni di alterazione del SI, risvegliarsi.
In entrambi gli scenari, sono le cellule NK a svolgere un ruolo di “guardia”.
Per poter capire quanto e se le funzioni di queste cellule fossero alterate, i ricercatori hanno effettuato prelievi di sangue agli astronauti (sia a terra, che durante la missione nella Stazione Spaziale Internazionale ma anche poi una volta ritornati in patria) e hanno effettuato confronti con campioni di sangue prelevati da soggetti “terrestri” , cioè non fossero mai stati esposti alla microgravità.
I risultati sono sbalorditivi: le cellule NK appartenenti a campioni prelevati durante la missione dimostrano una capacità citotossica contro cellule leucemiche in vitro ridotta del 50% rispetto a cellule NK di soggetti mai partiti per missioni spaziali.
Nonché, questi risultati erano confermati anche confrontando i campioni degli stessi astronauti prelevati però prima della partenza, dove le cellule NK possedevano un’attività fisiologica.
E’ pertanto indubbio che l’esposizione alla microgravità influenzi il sistema immune: questo però , è più evidente in chi si espone in acuto, poiché astronauti che avevano affrontato più missioni dimostravano più blande alterazioni delle cellule NK.
Le motivazioni della disparità sono due:
- Per l’adattamento
- Per i fattori correlati allo stress e/o all’età: gli astronauti “novizi” sono in genere giovani e vivono l’esperienza della prima missione con maggiore stress rispetto ai veterani, abituati alla “routine extraterrestre”.
CONCLUSIONI
Senza dubbio, le lunghe traversate verso “orizzonti più vasti” possano influire sul nostro corpo e soprattutto sul nostro sistema immunitario, ma rimane ancora da chiedersi:
- Se l’influenza sul SI dipenda dalla microgravità, dalle radiazioni, dal continuo stress oppure da una miscellanea di questi fattori.
- Se tali cambiamenti possano avere o meno una valenza patologica: stante che le cellule NK hanno un’attività del 50% più bassa, gli astronauti sono quindi a maggior rischio di sviluppare neoplasie e/o infezioni?
- E, soprattutto, se è possibile mettere in campo delle strategie preventive/terapeutiche: l’equipe del prof.Simpson sta studiando supporti nutrizionali e farmacologici per poter sopperire a questa ridotta funzione del sistema immunitario.
L’universo sarà pure assolutamente intricato e difficile da comprendere ma, alla luce di quanto detto, neanche il nostro corpo scherza in termini di complessità.
Fonti: Articolo 1, Articolo 2