Recentemente è stato pubblicato su Cell un interessante studio circa il possibile impiego in terapia oncologica di induttori della trans-differenziazione cellulare, in base alla quale sarebbe possibile ottenere da una cellula ben differenziata, ad esempio tumorale, un nuovo fenotipo cellulare, in questo caso un adipocita. Sebbene ancora in fase pre-clinica, le evidenze sono promettenti e potrebbero costituire un nuovo e valido approccio per la lotta ad alcuni tumori solidi.
Introduzione
Il razionale su cui si basa la ricerca risiederebbe nello sfruttare una delle caratteristiche cardine delle cellule tumorali maligne, ovvero l’ottima capacità di adattamento all’ambiente, ottenuta a seguito di numerose pressioni selettive, sia immunitarie che ambientali.
Buona parte di questa capacità è dovuta alla loro enorme plasticità, ovvero la possibilità di modificare dinamicamente il fenotipo da uno più maturo ad uno più immaturo, attraverso la transizione epitelio-mesenchimale (EMT), in risposta alle variazioni della nicchia ambientale in cui sono immerse.
Tale trans-differenziazione, di cui esiste anche l’opposto, (transizione mesenchimale-epiteliale, MET), consente alle cellule di invadere più velocemente ed estensivamente il tessuto ma anche di metastatizzare con maggiore efficienza, dato che la forma più immatura è assai adatta per migrare nei vari distretti corporei.
L’idea allora starebbe nel forzare una cellula maligna a trans-differenziare, cioè a cambiare da una forma neoplastica ad una in cui non possa più replicare, nella fattispecie l’adipocita (la cellula costituente il tessuto adiposo, incapace di replicare) e fare in modo che non possa più tornare indietro, vincolandola in uno stato di quiescenza.
Setting sperimentale
La ricerca ha visto il susseguirsi di una serie di prove, dapprima su modello di tumore mammario murino (in vitro ed in vivo) e solo dopo su modello umano.
Modello murino in vitro
Sono stati utilizzati due cloni cellulari diversi, uno di origine epiteliale (Pγ2T-LT) ed uno di origine epiteliale ghiangolare (MTΔECad). Entrambi sono stati indotti alla EMT, in maniera tale che tornassero ad uno stato molto immaturo, utilizzando particolari protocolli.
Successivamente sono stati trattati con degli induttori dell’adipogenesi, ovvero molecole (insulina, Dexametasone, Rosiglitazone, BMP2) che permettessero l’acquisizione dei caratteri della cellula adiposa.
Nell’induzione si è visto che le due linee cellulari si comportavano in maniera un po’ diversa: sebbene entrambe avessero acquisito il fenotipo adipocitario, quelle di origine ghiandolare sono state molto più efficienti. Una volta capito che è effettivamente possibile ottenere cellule mature non tumorali da cellule maligne, si sono indagati altri aspetti morfologici importanti:
- la differenziazione in altri tipi cellulari: le cellule MTΔECad si sono rivelate molto malleabili, potendo acquisire i caratteri i osteoblasti e condroblasti;
- L’irreversibilità della maturazione ad adipocita: cambiando il terreno di crescita, i ricercatori si sono accorti che le cellule andate incontro a trans-differenziazione, dopo 9 giorni, mantenevano ancora le caratteristiche di partenza.
Assodate queste acquisizioni, il passo successivo è stato capire quali geni fossero implicati in un così laborioso processo, quali pathways coinvolti così come quali molecole dell’ambiente avessero un ruolo pro-maturativo e quale inibitorio. Alla fine delle prove si è visto che, tra tutti i meccanismi implicati, due sono risultati particolarmente importanti, anche in termini di applicazione futura:
- la segnalazione intracellulare mediata dal TGFβ, una sostanza ad azione inibitoria,
- La trasduzione operata da MEK/ERK, due molecole che vengono attivate, tra le altre, anche dal TGFβ
Entrambe, se inibite farmacologicamente, avrebbero dovuto, in linea di principio, sortire un qualche effetto in senso adipogenetico ed è proprio ciò che gli studiosi hanno voluto valutare con il passo successivo
Modello murino in vivo
Sono state effettuate delle prove, chiamate proof-of-concept, atte a validare su vivente l’applicabilità di quanto appreso in vitro.
Utilizzando degli inibitori farmacologici di TGFβ e MEK/ERK, in particolare il Trametinib ed il Rosetinib in combinazione, su modelli animali, si sono avuti dei risultati in termini di riduzione del potenziale invasivo della neoplasia mammaria rispetto al controllo.
Lo stesso effetto si è ottenuto per le metastasi, nelle quali si è apprezzata una riduzione significativa nel numero nonché un aumento della differenziazione in adipociti.
Modello umano
Il modello umano è stato creato effettuando uno xenotrapianto da donatore. Il tumore trapiantato era triplo negativo (la forma più aggressiva) ed è stato fatto crescere per 4 settimane. Dopo la somministrazione ai vari gruppi di studio, rispettivamente di placebo, Trametinib, Rosetinib e una combinazione dei due, si è proceduto rimozione chirurgica dopo 8 settimane. I risultati ottenuti sono, all’istologia, analoghi rispetto al modello murino, quindi una riduzione della massa complessiva tumorale e delle metastasi.
Conclusioni
Come è possibile capire, lo studio è del tutto pre-clinico e con finalità essenzialmente esplorative, ma costituisce una buona base di partenza, sia concettuale che operativa, per ricerche successive. L’idea di trans-differenziare una cellula neoplastica è di per sé molto interessante e le evidenze ottenute suggerirebbero una possibile applicazione ben al di là della semplice speculazione accademica.
FONTI| articolo Cell