Il ruolo della sicurezza nella tutela della salute pubblica è al centro di recenti studi e analisi. In questi giorni sulla rivista scientifica The Lancet è stata pubblicata un’interessante relazione in merito.
Si tratta di in una serie di articoli realizzati del prof. Nicholas Thomson che esplorano la relazione tra il settore della sicurezza e la salute pubblica, analizzando le politiche che possono aiutare a colmare il divario tra militari e civili per migliorare la salute globale.
Epidemiologo presso la Scuola di Popolazione e salute globale di Melbourne, il prof. Thomson, insieme ad un team di ricercatori ed esperti, è partito dalla propria esperienza per analizzare le dinamiche che condizionano il trattamento sanitario nei paesi in via di sviluppo, estendendo quindi tali considerazioni anche ai paesi industrializzati.
Si tratta di un lavoro particolarmente utile per comprendere che cosa accade davvero quando si ha a che fare con un’epidemia e quali sono le reali difficoltà per operare.
Nel 2003 Thomson lavorava con un team della Johns Hopkins University nel campo della prevenzione dell’HIV a Chiang Mai, in Tailandia, quando il presidente del paese mise in atto una vera e propria guerra al narcotraffico. All’interno di questa battaglia persero la vita duecento persone che stavano svolgendo un ruolo importante per il team di Thomson nell’altra guerra, quella contro l’AIDS.
In seguito a tale vicenda, è scaturita un’analisi profonda per giungere al cuore del problema. Parte dell’insuccesso, secondo Thomson deriva da una mancata comunicazione con polizia, ministero dell’Interno e governi nei paesi in cui si esercita. Tali dinamiche influenzano inevitabilmente le risposte contro epidemie ed urgenze sanitarie.
Gli operatori sanitari, agenti di polizia e membri delle forze armate condividono in realtà lo stesso obiettivo di tutela sul territorio ma, non di rado, lavorano in rotta di collisione con conseguenze fatali per le popolazioni.
L’epidemia di Ebola nel 2014 in Africa occidentale e l’esplosione di Zika in Brasile nel 2015: entrambi sono esempi di come le risorse militari siano state mobilitate per contribuire a frenare le epidemie che hanno posto gravi minacce, evidenziando l’importanza della collaborazione tra operatori sanitari e forze di sicurezza.
Le forze di sicurezza infatti tendono ad avere risorse sostanziali, potere, esperienza e capacità di agire rapidamente, strumenti che potrebbero essere impiegati per migliorare la salute, non per indebolirla.
“Abbiamo bisogno che i settori della sicurezza e della salute si formino insieme e lavorino in sinergia e in modo sistematico. Il mondo non può permettersi il costo umano e finanziario del continuo disimpegno tra la polizia, le forze armate e il settore sanitario” – afferma il prof. Thomson.
Questa richiesta di una cooperazione più stretta potrebbe non essere sempre possibile, soprattutto per quei paesi in guerra o con contesti politici che non permettono un dialogo sereno.
D’altro canto, attualmente non esiste un quadro o un investimento globale per facilitare il loro impegno sullo stesso fronte. Per questo c’è ancora un enorme margine di miglioramento.
La polizia non viene riconosciuta per il suo ruolo nel campo della salute pubblica e ai professionisti della sanità pubblica non viene insegnato il ruolo importante che svolge.
L’immaginario comune contrasta con la reale missione della polizia: occuparsi del crimine costituisce meno del 20% del lavoro delle moderne forze armate.
Nella direzione di un grande lavoro diplomatico, prima nel 2016 e poi nel 2018 si è tenuta la Conferenza internazionale sull’applicazione della legge e la salute pubblica (LEPH) che ha individuato le priorità nella cooperazione fra forze dell’ordine e della sanità pubblica: la salute mentale, la violenza (soprattutto contro le donne), i traumi (in particolare gli incidenti e le malattie professionali), le crisi e le catastrofi, le malattie infettive e l’abuso di alcol e droghe.
A tal fine, appare fondamentale ricercare il tipo di collaborazione che in futuro consenta sia ai settori della sicurezza sia a quelli della salute di formare il proprio personale con le giuste competenze. Fine ultimo sarebbe far sedere le parti a tavoli comuni per sincronizzare risorse ed energie e in seguito interagire a livello operativo al fine di migliorare risultati di salute pubblica e globale.
FONTI | Abstract -The Lancet