Autismo: novità dal microbiota intestinale

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E se la terapia dell’autismo risiedesse nel microbiota?

Da “siamo quello che mangiamo” a “siamo quello che mangiano i nostri batteri intestinali” il passo è breve. Soprattutto quando si parla di autismo.

Il microbiota intestinale è un enorme complesso di specie batteriche che albergano nel nostro intestino, all’interno del quale, interagendo tra di esse, giocano un ruolo cruciale non solo nelle varie fasi della digestione e dell’assorbimento, ma anche in altre funzioni dell’organismo, quali la difesa immunitaria e le funzioni endocrine.

Recenti studi non lasciano più dubbi in merito al ruolo della flora batterica intestinale anche nella modulazione delle funzioni neurobiologiche.

Considerati i sintomi principali dello spettro autistico, quali difficoltà di comunicazione sociale, stereotipie e comportamenti ripetitivi, la regolazione della flora microbica intestinale potrebbe rappresentare un’arma in più, in virtù dell’influenza decisiva che essa sembra esercitare sul sistema nervoso centrale.

Lo studio

Pubblicato su Scientific Reports, lo studio dal titolo “Long – term benefit of Microbiota Transfer Therapy in Autism Symptoms and Gut Microbiota” ha documentato effetti benefici a lungo termine per i bambini affetti da disturbi dello spettro autistico (ASD) trattati con una tecnica rivoluzionaria denominata Microbiota Transfer Therapy (MTT), che consiste in un tipo particolare di trapianto fecale.

Il miglioramento dei sintomi dell’autismo, riscontrato già a partire dalle fasi iniziali, a seguito della terapia di trasferimento del microbiota, ha continuato a persistere anche a distanza di due anni dal trattamento.

Il benessere dell’intestino, osservato nei bambini oggetto dello studio, ha determinato, infatti, a due anni di follow – up, una riduzione del 45% dei sintomi di ASD.

Questi risultati sono tutt’altro che sorprendenti se si considera che studi precedenti avevano già messo in evidenza come il 30 – 50% dei pazienti con autismo abbiano problemi gastrointestinali cronici, quali diarrea e stipsi, che a loro volta possono contribuire a scatenare o ad accentuare manifestazioni cliniche compatibili con lo spettro autistico (irritabilità, diminuzione della capacità di apprendimento, deficit di attenzione, disturbi del comportamento).

La domanda, dunque, che i ricercatori si sono posti è:

In che modo l’intestino è in grado di influenzare i sintomi comportamentali dell’autismo e quale terapia possiamo sviluppare per un trattamento a lungo termine dei disturbi dello spettro autistico?

I ricercatori dell’Arizona State University hanno dimostrato che il trasferimento del microbiota sano consente di donare una serie più di variegata di batteri ai pazienti che risultano privi o carenti di determinate specie microbiche intestinali, ottenendo un miglioramento del benessere dell’intestino e, al contempo, anche delle capacità di interazione e di comunicazione sociale che risultano tipicamente inficiate nei disturbi dello spettro autistico.

Questa sofisticata ed innovativa tecnica di “trapianto fecale” è stata ideata, alcuni anni fa, dal gastroenterologo australiano Dr. Thomas Borody, che per primo l’ha applicato con successo per il trattamento delle coliti da Clostridium difficile. Ma è stato anche il primo ad utilizzare questa tecnica per trattare i pazienti con ASD, per i quali scoprì che erano necessari tre mesi di terapia giornaliera per ottenere risultati significativi sia sui sintomi gastrointestinali che sui sintomi tipici dello spettro autistico.

Dalle prime osservazioni di Borody derivò il primo studio su trapianto fecale ed autismo, pubblicato nel 2017 sulla rivista Microbiome, nel quale si prevedeva un protocollo di 10 settimane di trattamento, precedute da un pre-trattamento con vancomicina, seguito da: pulizia dell’intestino, somministrazione di un soppressore dell’acidità gastrica e trasferimento del microbiota fecale ogni giorno per 7 – 8 settimane.

Lo studio appena pubblicato aggiunge, però, un dato importante: i miglioramenti su funzionalità GI e su sintomi comportamentali persistono a distanza di ben due anni dalla terapia, suggerendo, quindi, un impatto a lungo termine che rappresenta la novità sostanziale di questo nuovo approccio terapeutico.

Il razionale

All’inizio dello studio, nei bambini esaminati, con diagnosi di ASD, è stata riscontrata una minore varietà nel microbiota intestinale rispetto ai bambini sani, e in particolare la carenza di alcune specie microbiche utili quali Bifidobacteria e Prevotella. La terapia di trapianto fecale ha contribuito a diversificare la flora microbica intestinale dei soggetti con autismo, migliorandone le funzioni digestive e di difesa immunitaria dell’organismo ed allo stesso tempo le funzioni comunicative e di interazione sociale.

Tale miglioramento, in base ai risultati ottenuti dai ricercatori statunitensi, ha avuto un impatto positivo su tutti i gradi di autismo presenti nei pazienti all’inizio dello studio: al termine, infatti, solo il 17% dei soggetti era grave, il 39% lieve/moderato, il 44% al di sotto del cut – off per ASD lieve, contro l’83% di casi iniziali di autismo grave.

Conclusioni e prospettive future

Questa scoperta innovativa è solo il punto di partenza per un nuovo approccio terapeutico ai disturbi dello spettro autistico.

Attraverso il trasferimento del microbiota e la valutazione dei conseguenti effetti sui sintomi comportamentali dell’ASD sarà possibile studiare le specie microbiche che risultano utili per il mantenimento della salute dell’intestino, creando in tal modo un vero e proprio “identikit del microbiota”, ma anche potenziare la tecnica ed ottimizzarne dosaggi e formulazioni.

La ricerca sul fronte microbiota è negli ultimi anni sempre più attiva. Sembra, infatti, che ripristinando una normale flora batterica intestinale si possano ottenere notevoli benefici in svariate patologie, sia gastrointestinali, come il Morbo di Chron, che neurologiche, come sclerosi multipla, Alzheimer e Parkinson, e in alcune patologie psichiatriche.

FONTI | Articolo originale