Parafrasando Woody Allen: il sesso non è la risposta, il sesso è la domanda. La risposta è: poco.
Questo il risultato di uno studio trasversale condotto nella popolazione generale inglese. Se promuovere la salute sessuale significa sensibilizzare a proposito delle infezioni, lo è anche promuovere una vita sessuale soddisfacente; visti, per di più, i benefici dell’attività sessuale.
Lo studio inglese
Per valutare i trend del comportamento sessuale nella popolazione inglese Wellings e colleghi, sulla scia di studi su base nazionale in altri paesi ad alto reddito, hanno comparato la frequenza dell’attività sessuale fra adulti dai 25 ai 44 anni basandosi su tre studi trasversali condotti in Inghilterra dal 1991 al 2012.
La diminuzione di frequenza più consistente è riportata fra i partecipanti con esperienza sessuale dai 25 anni in su e in quelli sposati o conviventi.
In tutto ciò, in realtà, l’ambito di studio valutava solo i cambiamenti in riferimento al sesso vaginale, orale e anale. La pornografia e le sue eventuali relazioni con la sessualità individuale, per esempio, non è considerata.
Detto ciò, va ricordato che in uno studio trasversale è pericoloso attribuire rapporti causali. Per esempio, se può essere vero che l’attività sessuale fa bene alla salute, può essere verificato anche il contrario: donne e uomini in salute sono più spesso sessualmente attivi.
Sesso e salute (pubblica)
In generale, una vita sessuale attiva si correla a migliori funzioni cognitive e ad aumentata aspettativa di vita.
Un recente studio di Lorenz e colleghi, pubblicato nel 2018, confermava quanto già suggerito in un articolo apparso su Psychological Report nel 2004: evidenze mostrano che l’attività sessuale aiuti a prevenire le infezioni rinforzando la funzionalità immunitaria.
Nel 2002, un articolo edito sul Journal of Epidemiology and Community Health poneva le basi per correlare l’attività sessuale con la prevenzione cardiovascolare: il sesso infatti si correla con una diminuzione della frequenza cardiaca e diminuzione dei valori pressioni.
Inoltre, dalle pagine del Journal of Clinical Endocrinal Metabolism, Carmicheal ed altri autori riferivano della produzione di ossitocina a seguito dell’attività sessuale e della sua attività protettiva rispetto allo stress.
Rispetto a quantità e qualità, però, gli studi delineano quadri leggermente più foschi. Il German Family Panel study ha dimostrato un aumento della soddisfazione nel primo anno di relazione, seguita da un declino stabile negli anni successivi, sia in termini di soddisfazione che di frequenza dei rapporti.
Tutta una serie di disturbi e malattie dal peso sempre maggiori ed in continua crescita dal 1990 ad oggi, come la depressione per esempio, sono una risultante di differenti fattori: gli autori ricordano come anche l’attività sessuale potrebbe avere un peso a riguardo.
Ma il sesso può essere considerato un topic di sanità pubblica? A dispetto di ogni possibile bias, il sistema sanitario nazionale inglese ha scelto di raccomandare l’attività sessuale per i suoi effetti benefici sulla salute: “Weekly sex might help fend off illness”. E se non è una risposta, certo è una plausibile direzione di politiche sanitarie.
Un calo ubiquitario
L’evenienza di un rapporto sessuale a settimana è risultato fortemente associato con il matrimonio e la coabitazione; al lavoro e all’assenza di depressione. La contrazione della frequenza di rapporti sessuali consumati si associa inoltre al lavoro manuale piuttosto che no e alla presenza di figli di un’età superiore ai 5 anni. Le donne che vivono in affitto, oltre a quelle che cercano la gravidanza, hanno più rapporti sessuali delle altre.
Interessante notare come fra maschi e femmine esiste un approccio differente e contrario rispetto alla masturbazione: l’associazione è inversa fra gli uomini, per cui la masturbazione risulta un sostitutivo del rapporto sessuale; nelle donne, invece, la masturbazione si associa ad un’alta probabilità di fare sesso almeno una volta a settimana.
Medicina o sociologia?
Le possibili cause del fenomeno sono varie. Il calo della frequenza di rapporti sessuali sembra coincidere con l’introduzione dell’iPhone nel 2007 ed la recessione globale del 2008. Anche l’aumento dei social media e di appuntamenti digitali potrebbero giocare un ruolo di primo piano.
Nonostante questo, uno studio americano riporta come la riduzione del numero di rapporti sessuali è maggiore in chi non guarda pornografia, e perciò non ha attività sessuale digitale.
Anche lo stato socioeconomico sembra un discrimine utile: seppur persone a contratto indeterminato e stipendi elevati registrano più alte frequenze di rapporti sessuali, il declino interessa sia chi ha uno stato lavorativo più svantaggiato che chi ha un uno stato lavorativo molto elevato.
Insomma: ad ogni polo dello spettro socioecomico, una diversa spiegazione.
Se è vero che la sessualità riflette limpidamente l’epoca storica che la plasma e ne è plasmata, l’era digitale ha sicuramente portato dei cambiamenti. Una vita più complessa, una sessualità nuova. Perché la sessualità è anche questo: un’indice di connessione umana, un relè fra i più disparati bisogni e le più differenti componenti umane.
FONTI| articolo 1; articolo 2; BMJ