Il tumore al seno è la neoplasia più frequente in assoluto per incidenza nel sesso femminile (benché in Italia, nel 2018, ne siano stati colpiti circa 500 uomini).
Sebbene il tasso di sopravvivenza globale a 10 anni dalla diagnosi sia dell’80%, bisogna ricordare che il 20/30% delle donne si presentano alla diagnosi con una malattia in stadio avanzato e/o metastatico.
Se, facendo un immaginario viaggio nel tempo, 20 o anche 30 anni fa le uniche opzioni terapeutiche per questo stadio di malattia vertevano sulla poli-chemioterapia, ad oggi il bagaglio di farmaci a disposizione per queste pazienti si è notoriamente arricchito, tanto da configurare il termine di “tailored teraphy” ovvero una terapia “cucita” addosso alla paziente, per rispondere al meglio alla tipologia tumorale genetico-molecolare che essa presenta.
Alla stregua di quanto detto, è di qualche giorno fa la notizia che l’FDA (Food and Drug Administration) ha per la prima volta approvato un innovativo farmaco per una classe di donne affette da tumore al seno in fase metastatica: Alpelisib.
Ma andiamo con ordine.
Il bersaglio del farmaco
Alpelisib (nome commerciale Piqray) appartiene alla classe di farmaci detti “inibitori di PI3K”.
Le fosfatidilinositolo-3-chinasi (PI3K) sono una famiglia di enzimi (ne esistono 4 differenti classi, suddivise sulla base dell’attività – regolatoria o catalitica – e della specificità per il substrato) che si rendono responsabili della trasduzione dei messaggi e pathway intracellulari, riguardanti soprattutto la via dell’oncogene PIK3CA e dell’oncosoppressore PTEN.
Questi enzimi regolano funzioni della cellula molto complesse e al contempo diverse tra di loro, quali la crescita cellulare, l’apoptosi, la differenziazione, la motilità, la cancerogenesi e la sopravvivenza cellulare.
E’ stato dimostrato che questo corteo enzimatico può essere mutato in numerose neoplasie (glioblastoma cerebrale, tumore mammario, tumore ovarico, ecc) e nello specifico questo avverrebbe in due modalità:
- Le chinasi PI3K verrebbero iper-espresse (gain-of-function di PI3KCA) con consequenziale maggiore proliferazione e crescita cellulare, priva di un regolare controllo
- L’oncosoppressore PTEN verrebbe silenziato (loss-of-function): infatti, PTEN codifica per una fosfatasi che “spegne” e modula l’attività di PI3K.
Ma del suddetto farmaco, quali categorie di pazienti possono beneficiarne?
- Le pazienti devono presentare una malattia metastatica/avanzata
- Le pazienti devono essere in post-menopausa
- Devono presentare una neoplasia con pattern recettoriale Estrogeno positiva e HER-2 negativa (ER + / HER2 -)
- Devono aver avuto progressione dopo un regime di terapia ormonale o devono essere attualmente in trattamento con una terapia ormonale.
- Devono presentare la mutazione di PI3KCA
Lo studio
La “spinta” che ha portato all’approvazione di Alpelisib da parte dell’FDA deriva dai risultati dello studio di fase 3 randomizzato SOLAR-1, nel quale si sono randomizzate 571 donne in due gruppi:
- Il primo gruppo avrebbe assunto Alpelisib (formulazione orale, 300mg al giorno)
- Il secondo gruppo avrebbe assunto un placebo
- Ad ambo i gruppi sarebbe stato somministrato il Fulvestrant (1 iniezione intramuscolare che, nel primo ciclo, sarebbe avvenuta il 1° e il 15° giorno mentre in seguito ogni 28 giorni).
Questo è un farmaco (nello specifico, un SERD) utilizzato attualmente da protocollo nelle donne con tumore al seno ormono-sensibili a seguito di progressione per una prima linea di trattamento ormonale (in genere con un inibitore di aromatasi).
Ovviamente, i criteri di inclusione nello studio sono quelli precedentemente elencati, con la precisazione che tali pazienti non dovevano aver ricevuto né un precedente trattamento chemioterapico né alcune classi di farmaci (come lo stesso Fulvestant, gli inibitori di CDK4-6, di mTOR, ecc)
Importante è ricordare che di quelle 571 donne, solo 341 avevano una mutazione (confermata all’esame anatomo-patologico) di PI3KCA: pertanto, i risultati riportati in basso saranno divisi in due grandi gruppi (farmaco vs placebo nelle donne con mutazione, farmaco vs placebo nelle donne senza mutazione)
Risultati
I risultati (in termini di Sopravvivenza Libera da Malattia/PFS) sono i seguenti:
- Nel gruppo di donne con PI3KCA mutato e con un follow-up di 20 mesi, coloro che hanno assunto alpelisib+fulvestran hanno avuto una PFS di 11 mesi contro 7 mesi in coloro che hanno assunto placebo+fulvestrant.
Inoltre, l’Overall Response Rate (ORR) nelle pazienti con l’alpelisib è stato del 26,6%contro il 12,8% del placebo. - Nel gruppo di donne con PI3KCA non mutato benché ci sia stata comunque un’osservazione di 20 mesi, non si sono evidenziate differenze statisticamente significative nella PFS tra i due gruppi.
Side effects
Gli effetti collaterali sviluppati dalle pazienti in terapia con l’inibitore di PI3K (molto più frequenti, ovviamente, in questo sottogruppo di pazienti rispetto a quelle a cui veniva somministrato il placebo) sono stati:
- Iperglicemia (circa il 30% delle pazienti)
- Rash (10%)
- Disturbi GI quali diarrea e dolori addominali in circa il 5% delle pazienti
Comunque, il 25% delle pazienti, a causa dello sviluppo degli effetti collaterali, ha interrotto il trattamento con Alpelisib; questo è avvenuto in percentuale molto più bassa (4%) nel gruppo del placebo.
Questo studio, nel quale si evince come la combinazione di Alpelisib e Fulvestrant in un particolare setting di pazienti possa prolungarne la PFS, dimostra altresì che la conoscenza dei pattern biochimico-molecolari delle cellule (e ancor più delle cellule neoplastiche) non resti un campo sterile di “pura teoria” ma abbia un assoluto riscontro pratico nella clinica di ogni paziente.
FONTI | Articolo originale, paper NEJM,