Uno studio australiano su “Human Reproduction Update” dimostra come lo sport possa aumentare la possibilità di instaurare e portare una gravidanza a termine in giovani donne.
Il problema
Nonostante molti considerino l’infertilità dopo 12 mesi di tentativi di concepimento, secondo i criteri della Organizzazione Mondiale della Sanità, è infertile una coppia che non riesce a concepire dopo 24 mesi di rapporti regolari e non protetti.
I suoi dati
Complessivamente, l’infertilità riguarda circa il 15% delle coppie. In Italia, come nel resto del mondo il fenomeno è in aumento e va di pari passo con il calo delle nascite. Nel 2017 sono stati iscritti in anagrafe per nascita oltre 15 mila bambini in meno rispetto al 2016 e quasi 120 mila in meno rispetto al 2008. Si stima che l’infertilità sia responsabile di tale diminuzione per almeno un terzo del totale.
Le sue cause
L’infertilità femminile è la maggiore componente rappresentando il 37,1% dei casi, quella maschile rappresenta il 29,3%, mentre la combinata maschile e femminile il 17,6%. Vi sono poi quella di causa sconosciuta nel 15,1% dei casi e il fattore genetico nello 0,9%.
Dalla letteratura medica inoltre emerge sempre di più il ruolo di fattori psico-sociali di infertilità dovuti allo stile di vita, alla ricerca del primo figlio in età tardiva, l’uso di droghe, l’abuso di alcool, il fumo, le condizioni lavorative e l’inquinamento.
Nella frenesia moderna poi, molte sono le coppie che cadono nella trama dell’infertilità psicogena, per cui, considerando anormale non concepire al primo tentativo, si genera uno stress che finisce per essere causa stessa del problema, con rocamboleschi tentativi di concepimento mirati ai giorni fertili già dai primi mesi di rapporti liberi.
Le cause dell’infertilità sono dunque numerose e di diversa natura. Per le più comuni si può intervenire con diagnosi tempestive, cure farmacologiche e terapie adeguate, ma anche – soprattutto- con la prevenzione e l’informazione. Solo per alcune, invece, è necessario ricorrere alla procreazione medicalmente assistita.
Lo studio
Quella condotta dalla dott.ssa Gabriela Mena dell’Università del Queensland è una revisione sistematica della letteratura con meta-analisi: analizzando i dati di 18 studi pubblicati in 9 databases dal 2000 al 2018, la ricercatrice ha potuto analizzare la correlazione tra sport e successo riproduttivo paragonandolo ai trattamenti tradizionali.
Non si parla di uno sport in particolare. Gli studi esaminati infatti hanno dimostrato come la salute riproduttiva sembri migliorare con l’allenamento aerobico, quello in combinazione con l’allenamento di forza, ma anche soltanto con un incremento moderato dell’attività quotidiana quale l’aumento del numero di passi .
“Quando l’attività fisica era comparata a trattamenti tradizionali, come la fecondazione in vitro o l’induzione all’ovulazione, non c’era differenza nei tassi di gravidanze e nati vivi tra le donne che facevano sport e quelle che eseguivano trattamenti per la fertilità” ha affermato l’autrice.
Prospettive future
L’attività fisica può dunque rappresentare una più economica, realizzabile ed olistica alternativa o terapia complementare ai molto costosi trattamenti per la fertilità.
Sarà ora fondamentale capire quale possa rappresentare la combinazione ottimale di tipo di attività, intensità, frequenza e durata per le donne con problemi di fertilità, come anche individuare quali pazienti beneficiano maggiormente di questo approccio rispetto agli altri. Questo l’obiettivo della Dr. Mena per la sua ricerca futura, non ci resta che augurarle un buon lavoro.
Fonti| ISS; ISTAT; articolo su Medical Express; Abstract dell’articolo originale.