Una firma molecolare consentirà di individuare la responsività al trattamento in pazienti affette da cancro della cervice localmente avanzato (LACC). Si tratta dell’innovativa possibilità di valutare l’efficacia di una terapia, allo scopo più ambizioso di poterne implementare tutti gli aspetti e di pianificare la migliore strategia di cura. Una prima apertura verso la personalizzazione del trattamento e che pone le basi per innovative metodiche di cura.
Quando la prevenzione gioca il ruolo più importante
Il tumore della cervice occupa il quarto posto nella lista dei tumori più frequenti tra le donne, con circa 570.000 nuovi casi stimati nel 2018 in tutto il mondo. Principale indiziato all’origine della neoplasia è il Papillomavirus Umano (HPV), per il quale nell’ultimo decennio c’è stata un’ingravescente sensibilizzazione e numerose conquiste di prevenzione. Il trattamento di elezione per la cura del LACC è costituito da chemioradioterapia adiuvante (CRT), seguita dalla chirurgia. Tale approccio ha dimostrato risultati clinici incoraggianti, migliorando di netto il tasso di controllo della patologia ed arginato recidive nella maggioranza dei casi. Tuttavia un non trascurabile 30% delle pazienti non risponde in maniera ottimale, presentando una ricaduta repentina nella malattia.
Lo studio
Tali osserverazioni hanno condotto il team guidato dal Professor Giovanni Scambia – ordinario di Clinica Ostetrica e Ginecologica presso l’Università Cattolica e Direttore Scientifico dell’IRCCS – ad identificare tre biomarcatori in grado di predire l’esito del trattamento CRT. Lo studio nello specifico ha coinvolto 40 pazienti con diagnosi di LACC in stadio IB2-III (classificazione FIGO), dalle cui lesioni sono stati prelevati campioni di tessuto previo trattamento. Le pazienti sono state quindi sottoposte a CRT preoperatoria secondo protocolli specifici e dopo sette, otto settimane sono state sottoposte a isterectomia radicale. Successivamente sono state quindi valutate le risposte e per lo studio sono state presi in considerazione i casi di persistenza di tumore residuo superiore ai 3 mm di dimensione. Il razionale alla base è stato chiaramente quello di massimizzare l’identificazione delle differenze tra i biomarcatori sensibili al trattamento.
Risultati
Confrontando quindi i profili proteomici di 20 pazienti completamente rispondenti con altrettanti resistenti al trattamento, si sono ottenute differenze di profilo significative fra i due gruppi. Nello specifico le pazienti sensibili mostrano le seguenti peculiarità:
- Livelli significativamente più bassi di ANXA2, un’abbondante proteina cellulare principalmente localizzata a livello di citoplasma e membrana plasmatica e in minor misura nel nucleo. Gioca un ruolo cruciale in processi di endo ed esocitosi, trascrizione di mRNA, trasduzione del segnale, replicazione e riparazione del DNA. È inoltre considerata di principale importanza nel garantire sopravvivenza, invasione e crescita delle cellule tumorali
- Altrettanti bassi livelli di NDRG1, gene preposto alla codifica di una proteina coinvolta nella risposta allo stress, alla crescita cellulare e differenziazione. Ha un ruolo controverso nelle neoplasie, caratterizzandosi come sopressore nelle metastasi di alcuni tumori e come indice di aggressività in altri, quali il cancro della cervice.
- Livelli più elevati di STAT1, fondamentale nella regolazione di attività antimicrobiche, proliferazione e morte cellulare. Generalmente considerato prezioso alleato per il suo ruolo di soppressore tumorale, recenti evidenze gli attribuiscono un ruolo controverso legato ad un possibile ruolo di promotore delle neoplasie.
Possibili scenari
Una triade genica che fornisce plausibili spiegazioni sull’esito più o meno fallimentare dei trattamenti e conferisce più di un vantaggio conoscitivo. Secondo il team di ricerca, tali asserzioni in effetti permettono l’eventuale utilizzo clinico di un marcatore predittivo nella risposta alla terapia nelle pazienti con LACC, dando un contributo maggioritario nei confronti della personalizzazione della terapia. In aggiunta si apre uno sfidante scenario di studi per terapie bersaglio mirate alle vie di mediazione interessate da questi geni.
Un progresso di matrice tutta italiana che attraverso la comprensione dei meccanismi alla base delle resistenze terapeutiche è in grado quindi di aprire diversificate possibilità di risoluzione. Prima fra tutti quella – attraverso un approccio terapeutico “ad personam” – di vincere sul tempo lì dove la prevenzione ha fallito, attraverso il prezioso privilegio di una nuova opportunità.
FONTE| Articolo originale
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