HIV(virus dell’immunodeficienza umana) è un retrovirus a RNA che, grazie alla presenza dell’enzima trascrittasi inversa, è capace di retro-trascrivere il suo RNA in DNA double-strand in modo che possa integrarsi con il genoma della cellula ospite e, da qui, dirigere la trascrizione delle proteine virali.
Le cellule infettate, con un tropismo assolutamente tipico dell’HIV, sono i linfociti T CD4+ che vanno, con la progressione della patologia, riducendosi: questo conduce ad un quadro sindromico di immunosoppressione acquisita virus-relata (l’AIDS, appunto).
Ancora una volta, si vuole ricordare che HIV e AIDS non sono sinonimi: l’HIV è infatti l’agente virale responsabile, in assenza di trattamento e in caso di progressione di patologia, dello sviluppo di un quadro sintomatologico di immunodeficienza definito AIDS.
Secondo i dati dell’Epicentro dell’ISS, nel 2017, sono state riportate circa 3500 nuove diagnosi di infezione da HIV, pari a 5,7 nuovi casi per 100.000 residenti con valori di incidenza più elevata registrati in Lazio, Liguria e Toscana.
L’età mediana di diagnosi è di 39 anni per i maschi e 34 anni per le femmine mentre l’incidenza più alta è stata osservata nella fascia d’età 25-29 anni.
Inoltre, circa l’85% di tutte le segnalazioni è da attribuirsi a rapporti sessuali non protetti e una grande parte di queste diagnosi è purtroppo effettuata in una fase avanzata di malattia (quadro di AIDS conclamato).
Attualmente, la terapia per l’infezione indotta da HIV consiste di:
- Terapia combinata antiretrovirale (ART): ovvero data dalla combinazione di vari farmaci che bersagliano diverse componenti del retrovirus (inibitori della proteasi, inibitori nucleosidici e non della trascrittasi inversa, ecc).
- Chemioprofilassi delle infezioni sviluppate in corso di AIDS
Si ricorda che l’obiettivo della terapia è quello di:
- Ridurre o sopprimere la replicazione virale, portando quindi ad una diminuzione dei livelli di HIV RNA (<20 copie/ml)
- Ripristinare il fisiologico valore dei CD4
E’ questo un trattamento che il paziente dovrà effettuare per tutta la sua vita e che non determina una guarigione dell’infezione, ma fa si che questa possa essere “silente” e il paziente possa conviverci tranquillamente per tutta la sua vita.
Eppure, il paradigma potrebbe cambiare.
I ricercatori delle università di medicina del Nebraska e della Philadelphia, rappresentati del Dott. Kamel Khalili, professore di neurovirologia e responsabile del centro di neuroAIDS, hanno dimostrato per la prima volta la possibilità di eliminare HIV-1 dal genoma di cellule animali.
Il punto di partenza dello studio in oggetto è, in realtà, la conclusione di un precedente studio condotto nel 2016 degli stessi ricercatori: questi dimostrarono infatti, l’efficacia del sistema di gene-editing CRISPR-Cas9 nell’infezione da HIV.
In realtà il sistema CRISPR/Cas9 altro non è che la contestualizzazione biotecnologica nell’uomo di un sistema di difesa naturalmente posseduto dai batteri contro gli agenti virali.
Il fulcro di tutto il sistema è l’enzima Cas9, un endonucleasi, in grado di operare tagli alla doppia elica di DNA.
Affinché questo taglio possa essere effettuato nei siti desiderati (es, lì dove il genoma di HIV si è integrato) è necessario sfruttare delle sequenze “guida” di RNA che possano appaiarsi con siti complementari del DNA bersaglio (le CRISPR sono proprio sequenze di DNA contenenti brevi sequenze ripetute, su cui Cas9 si può associare).
E’ in quest’ottica che il sistema CRISPR/Cas9 può definito come un “coltellino svizzero biotecnologico” capace di riconoscere, legarsi, tagliare ed escidere sequenze desiderate.
I ricercatori sono quindi riusciti, per il tramite di CRISPR/Cas9, a portar via larghi frammenti di HIV dal genoma delle cellule di topo infette (l’infezione era sostenuta in particolare da EcoHIV, equivalente murino dell’HIV umano) ma non sono riusciti ad indurre una completa bonifica.
Pertanto, CRISPR/Cas9 da solo è insufficiente per eradicare l’infezione.
Il passo successivo è stato quello di combinare questa tecnologia con una nuova forma di terapia ART: la LASER ART.
L’acronimo LASER sta per long-acting slow-effective release, ovvero una forma terapia a lento rilascio e a lunga durata d’azione, ottenuta per mezzo di modifiche alla farmacodinamica delle molecole farmacologiche convenzionalmente usate nella ART.
Infatti, uno dei maggiori problemi della terapia antiretrovirale tradizionale, è quello di non riuscire ad eradicare il virus quiescente nei santuari farmacologici (o resevoir): sedi cellulari (preferenzialmete CD4+) dove difficilmente la terapia riesce a raggiungere concentrazioni o stabilità d’efficacia tali da ottenere un effetto significativo.
Nella LASER ART, i farmaci antiretrovirali modificati sono inseriti all’interno di nanocristalli che hanno la caratteristica di bio-distribuirsi laddove è più probabile che vi siano dei santuari farmacologici e, grazie alla formulazione cristalloide, il rilascio del farmaco è lento ma continuo.
Sulla base di questi assunti, i ricercatori hanno utilizzato cavie di laboratorio ingegnerizzate (topi “umanizzati” con linfociti T CD4+ umani, ovviamente con tolleranza per evitare risposte contro-linfocitarie) affinché i linfociti fossero suscettibili di infezione da parte dell’HIV.
Una volta stabilita l’infezione, hanno quindi proceduto a testare la combinazione simultanea dei trattamenti CRISPR/Cas9 e LASER ART.
Il vettore utilizzato è stato in realtà una miscela di sierotipi diversi di adeno-virus ingegnerizzati, con lo scopo sia di poter raggiungere il maggior numero di cellule (e quindi resevoir) possibile, ma anche con l’obiettivo di evitare mancate risposte in caso di mutazioni “escape”di HIV-1 (uno dei tanti motivi per cui, a lungo andare, la terapia ART smette di funzionare).
I risultati sono stati straordinari: in circa 1/3 delle cavie di laboratorio testate (sia valutando la viremia, sia mediante una innovativa tecnica di imaging in bioluminescenza che consente di visualizzare la replicazione in real-time) si è indotta una completa eliminazione dell’HIV RNA con correlato azzeramento della viremia.
Il passo successivo sarà, ovviamente, quello di proseguire la sperimentazione, dapprima in primati non umani e, in seguito, nell’uomo.
La chiave di volta appare, comunque, evidente: il vero aiuto non deriva dall’uso del singolo farmaco ma dalla moltitudine di strumenti biotecnologici ad oggi a disposizione che si fanno sempre più vicini all’obbiettivo di eliminare un ospite “non troppo desiderato”.
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