Si chiama GENUS (Gamma Entrainment Using Sensory stimuli) il potenziale trattamento di alcune patologie neurodegenerative messo a punto da un gruppo di ricercatori del MIT e testato recentemente sul modello murino della malattia d’Alzheimer. La sfida lanciata dal gruppo del MIT è alquanto futuristica: combattere la neurodegenerazione tramite una combinazione di luce e suoni.
Malattia d’Alzheimer
Sebbene la corsa alla terapia anti-Alzheimer abbia subito negli ultimi anni un significativo rallentamento a seguito del fallimento di diverse molecole promettenti, rimane tuttavia uno degli ambiti di maggiore ricerca considerando l’impatto umano ed economico che tale malattia ha sulla popolazione.
Principale causa di demenza, la malattia d’Alzheimer (AD) è una patologia progressiva e invalidante che porta alla graduale perdita delle capacità cognitive della persona affetta.
Alla base del processo fisiopatologico vi sono due proteine, l’amiloide-beta e la proteina tau, il cui accumulo determina la morte dei neuroni colpiti.
Negli anni, diversi marker di neuroimaging e neurofisiologia si sono aggiunti nello studio dell’AD e tra questi uno ha catturato l’attenzione del gruppo di ricerca del MIT: l’alterazione delle oscillazioni gamma all’EEG.
Oscillazioni gamma e AD
Il termine oscillazioni gamma fa riferimento a una specifica attività elettrica del cervello rilevata tramite EEG compresa tra i 25 e i 100 Hz che, sebbene ancora oggetto di intenso studio, sembra essere associata alle funzioni cognitive più complesse.
Partendo dall’osservazione che l’attività gamma è alterata in diverse patologie neurocognitive, in primis l’Alzheimer, un gruppo di ricercatori del Massachussets Institute of Technology ha indagato la possibilità di impiegare tali oscillazioni nella lotta contro l’AD.
GENUS visivo
In un primo studio pubblicato nel 2016 sulla rivista Nature il gruppo di ricerca del MIT, guidato dal Dott. Li-Huei Tsai, ha testato sul modello murino due metodiche per fornire stimoli visivi a 40 Hz: da una parte l’optogenetica, dall’altra ciò che è stato successivamente denominato Gamma ENtrainment Using Sensory stimuli (o GENUS).
Con notevole interesse da parte del gruppo ricerca, entrambe le metodiche si sono rivelate efficaci nel ridurre i depositi di amiloide-beta a livello della corteccia visiva del topo. Indagando ulteriormente i ricercatori hanno compreso come tale riduzione fosse attribuibile sia a una riduzione dell’espressione della proteina patogena da parte dei neuroni, sia un aumento della sua eliminazione da parte della microglia.
Dimostrata la possibilità di agire sui depositi di amiloide tramite il GENUS visivo i ricercatori si sono quindi posti diverse domande: è possibile ottenere lo stesso effetto tramite l’uso di stimoli di altra natura? Se sì, è possibile combinare le metodiche per ottenere risultati maggiori? E infine, tali risultati avrebbero un corrispettivo miglioramento clinico?
A tal fine hanno dunque proseguito la ricerca tramite altre due pubblicazioni, entrambe del 2019.
GENUS uditivo e GENUS combinato
Nel secondo studio del gruppo di ricerca, pubblicato nel 2019 sulla rivista Cell, i ricercatori hanno testato gli effetti della stimolazione a 40 Hz tramite la via uditiva.
In accordo con i risultati ottenuti nello studio precedente, anche il GENUS uditivo si è dimostrato efficace nel ridurre i depositi di amiloide-beta. In questo caso la riduzione si è registrata a livello della corteccia uditiva e a livello dell’ippocampo, accompagnata da un’aumentata attivazione della microglia e una riorganizzazione dei vasi sanguigni.
I ricercatori hanno inoltre testato le perfomance cognitive dei topi sottoposti al trattamento, riscontrando un miglioramento di alcune funzioni ippocampo-specifiche tra cui la memoria spaziale.
Infine, il gruppo di ricerca ha combinato stimoli visivi e uditivi nel tentativo di amplificare gli effetti positivi del trattamento. Tramite la combinazione di GENUS visivo e uditivo si è registrata una riduzione dei depositi di amiloide-beta non solo a livello delle aree direttamente coinvolte dagli stimoli ma anche in modo diffuso a livello della neocorteccia.
GENUS a lungo termine
Nel terzo e ultimo studio, pubblicato nel 2019 sulla rivista Neuron, i ricercatori del MIT hanno quindi testato gli effetti dell’applicazione del GENUS a lungo termine.
Oltre alla conferma del miglioramento delle performance cognitive dei topi sottoposti a GENUS, l’aspetto più interessante dello studio in questo caso è stata la dimostrazione di un effetto neuroprotettore: i topi trattati a lungo termine con GENUS hanno infatti mostrato una minore perdita neuronale nel tempo.
Conclusioni
Il ripristino di una normale attività gamma tramite l’uso di stimoli visivi e uditivi sembra un valido approccio alternativo nella lotta contro la malattia d’Alzheimer; il GENUS si è infatti dimostrato capace di contrastare la progressione del processo patologico nonché di migliorare i sintomi della malattia. Sebbene incoraggianti bisogna però ricordare che i risultati riportati sono stati ottenuti sul modello animale e che la sperimentazione umana metterà il GENUS di fronte a sfide ancora più complesse.