In un ristretto trial (appena dieci partecipanti) pubblicato su Aging Cell, i ricercatori sono riusciti a “ringiovanire” i tessuti di alcuni soggetti mediante somministrazione di un particolare mix di farmaci: questo studio apre nuovi orizzonti e nuovi filoni di ricerca.
Nell’immensa variabilità della produzione letteraria umana (sia narrativa che filosofico-scientifica) non è raro imbattersi in uomini che hanno dedicato la propria vita alla ricerca di un metodo, oggetto o preparato che permettesse di rallentare l’invecchiamento (o farlo regredire) o bloccare l’età al plateau della forma umana.
Anche se alcune teorie sono oggetto più di studi filosofico-umanistici che non biologici, la scienza ha in qualche modo “preso in eredità” questa mitologica ricerca e, applicando il suo rigoroso metodo, ci porta sempre più vicini ad un futuro che, anche se non sarà fantascientificamente popolato da persone ferme all’età di giovani adulti, vedrà cadere la frequenza delle patologie della terza età, fino a relegarle ai libri di storia.
Attenzione, però: sebbene l’idea di un “ringiovanimento” possa far gola, i risultati sono stati condotti solo su un particolare tessuto e su un numero ristrettissimo di partecipanti. Serviranno nuovi trial clinici e altre indagini prima di poter trarre delle conclusioni.
Come misurare l’età biologica
Che l’età anagrafica non corrisponda all’età biologica, è risaputo anche al di fuori della comunità scientifica. Glissando sulle eventuali apparenze estetiche o sul grado di cura della propria persona, fattori genetici e fattori ambientali possono far “invecchiare” in modo differente i vari tessuti del nostro corpo: se la nostra età anagrafica segue esclusivamente lo scorrere del tempo, la nostra età biologica viene influenzata anche da fattori genetici e ambientali (stili di vita corretti o errati).
Serve quindi una metodologia che “trascenda il tempo” e restituisca una carta d’identità chiara e oggettiva dell’età dei nostri tessuti in un determinato momento: è qui che entrano in gioco l’epigenetica e “l’orologio epigenetico”, teorizzato dal biomatematico Steve Horvath.
L’epigenetica è quella branca della biologia che esamina particolari processi che avvengono al livello del codice genetico: pur non alterando il codice genetico (e quindi il genotipo, come farebbe una mutazione), imprimono delle modificazioni particolari che inducono o reprimono l’espressione di alcuni geni, alterando così il fenotipo (ossia la manifestazione dell’espressione genetica).
Mettendo in pratica le scoperte nel campo dell’epigenetica, Horvath (che fa anche parte dei firmatari dello studio in esame) ha quindi proposto un algoritmo che esamina uno dei processi più conosciuti dell’epigenetica, la metilazione del DNA.
L’algoritmo esamina 353 siti del DNA, i cosiddetti CpG nucleotidi, delle regioni della doppia elica dove avviene la metilazione (in direzione 5’ > 3’ un nucleotide di citosina, C è seguito da uno di guanina, G) e, confrontando il grado di metilazione di questi siti a valori attesi secondo l’età anagrafica del soggetto, sarebbe possibile fornire una stima (con scarto minimo) dell’età epigenetica del paziente a cui il campione appartiene.
Secondo i dati, la stima dell’età epigenetica offerta dall’algoritmo di Horvath sarebbe talmente tanto accurata e vicina alla reale età biologica da presentare un coefficiente di correlazione lineare di 0,96 (dove “1”, significherebbe che il test non ha alcun margine di errore).
Per dare un’idea dell’efficacia di questo orologio, se elencassimo l’efficacia dei vari test classificandoli secondo il coefficiente di correlazione lineare, subito al secondo posto troveremmo i test che forniscono una stima dell’età biologica basandosi sulla lunghezza dei telomeri, con un valore di 0,51-0,55 (uno scarto enorme).
Lo studio
Lo studio, per quanto possa apparire pionieristico, non è il primo del suo genere. Precedenti studi condotte su cavie animali hanno suggerito come fosse possibile riportare indietro l’orologio biologico: in alcuni di questi è stato dimostrato che la somministrazione di ormone somatotropo (l’ormone della crescita, GH) potesse rigenerare il timo.
La scelta non è per nulla casuale, il timo infatti (che si trova nel torace, tra polmoni e sterno) ha un importantissimo ruolo nel mantenere l’efficienza del sistema immunitario in quanto regola la maturazione dei linfociti T; superata la pubertà, tuttavia, riduce la sua massa e con essa la sua funzione. Una “rigenerazione” del timo, rinvigorirebbe il sistema immunitario dei soggetti anziani, fornendo un’arma concreta nella lotta a infezioni e tumori.
Nello studio battezzato TRIIM (“Thymus Regeneration Immunorestoration and Insulin Mitigation” o, per i non anglofili, “rigenerazione del timo, restaurazione immunitaria e mitigazione insulinica”), sono stati reclutati nove uomini di etnia caucasica tra i 51 e i 65 anni e, dopo aver misurato l’età biologica dei tessuti del timo con varie metodiche (in primis quella epigenetica di Horvath) all’inizio del trial, hanno sottoposto i partecipanti ad un cocktail composto da ormone della crescita ricombinante umano (rhGH) e, per contrastare gli effetti diabetogeni di questo ormone, a metformina e deidroepiandrosterone (DHEA).
Per tutta la durata dello studio, i partecipanti sono stati sottoposti ad esami di routine, valutazioni dell’età biologica del timo e risonanze magnetiche della regione toracica.
Concluso il periodo di studio e raccolti i dati, i risultati hanno parlato chiaro: oltre a constatare un miglioramento delle performance da parte del sistema immunitario e una riduzione degli indici di rischio per gran parte delle malattie legate all’età, è stato possibile osservare una riduzione della matrice lipidica (che dopo la pubertà prende fisiologicamente il posto dei tessuti timici) all’interno del timo e una rigenerazione dei tessuti timici.
In particolare, già dopo 1 anno di trattamento era possibile osservare come l’età epigenetica mostrasse una variazione di 1,5 anni in meno rispetto all’età epigenetica all’inizio del test. I ricercatori hanno inoltre osservato come il processo di “ringiovanimento” continuasse anche dopo sei mesi dall’interruzione del test.
Come scritto all’inizio, i risultati sono promettenti ma vanno presi con molta cautela: anche se altri trial confermeranno i risultati del TRIIM, saremo ancora lontani dal “tornare giovani” ma molto vicini dal debellare patologie che contraddistinguono la terza età e che, purtroppo, in diversi casi portano alla morte.
Fonte | Reversal of epigenetic aging and immunosenescent trends in humans
Per chi volesse approfondire sul tema dell’orologio epigenetico| DNA methylation age of human tissues and cell types