Steatosi epatica non alcolica: individuata una possibile causa batterica

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Il termine NAFLD (Non Alcoholic Fatty Liver Diseases) identifica uno spettro di condizioni clinico-istologiche accumunate dalla presenza di grasso negli epatociti che vanno dalla steatosi (semplice accumulo di lipidi) alla steatoepatite (steatosi associata ad attività necroinfiammatoria) fino ad arrivare a forme che presentano una componente fibrosa più o meno importante con possibile evoluzione a cirrosi e insufficienza epatica.

Le NAFLD, indistinguibili sotto il profilo istologico dalle forme alcol correlate, si riscontrano in circa il 3-5% della popolazione occidentale in soggetti astemi o con minima assunzione di alcol, con un livello soglia attualmente identificato tra 20 e 30 grammi di etanolo/die. L’abuso alcolico va ovviamente escluso a livello anamnestico altrimenti si ricadrebbe nel quadro di steatoepatite alcolica.

L’accumulo di trigliceridi negli epatociti rappresenta il “primum movens” nella genesi del danno: il disordine metabolico chiave è rappresentato da una alterazione dell’equilibrio del metabolismo lipidico a favore della lipogenesi rispetto alla lipolisi.

Questa condizione si può verificare per:

  • aumento della sintesi degli acidi grassi e/o di un ridotto smaltimento per deficit della beta-ossidazione o per deficit della sintesi dei fosfolipidi o degli esteri del colesterolo;
  • ridotta dismissione degli acidi grassi dall’epatocita (ad esempio nel deficit della sintesi delle lipoproteine).

Ne deriva accumulo di trigliceridi negli epatociti che rappresenta il corrispettivo a livello biochimico della steatosi: è ormai dimostrato che, in genere, l’accumulo di trigliceridi negli epatociti è la diretta conseguenza metabolica di una ridotta sensibilità agli effetti dell’insulina, condizione definita come insulino-resistenza.

Inoltre la NAFLD rappresenta in molti casi una manifestazione della “sindrome metabolica”, un complesso disordine metabolico caratterizzato da obesità centrale, dislipidemia, ipertensione, iperglicemia e connesso strettamente alla sindrome metabolica.

L’esatto evento che determina l’innesco della componente necroinfiammatoria in un fegato steatosico e che quindi conduce verso la steatoepatite, non è stato ancora definitivamente identificato: si ritiene però che il fegato steatosico sia un organo sensibilizzato e più suscettibile di un fegato normale all’esposizione a fattori nocivi che rappresentano la cosidetta “seconda tappa” nella patogenesi della steatoepatite.

Allo stesso modo complessa e multifattoriale è l’eziologia della NAFLD.

Le principali condizioni che determinano accumulano di grasso nel fegato sono disordini di tipo nutrizionale, tossicità da farmaci, disordini di tipo metabolico, cause microbiologiche.

A proposito delle cause microbiologiche, proprio di questi giorni è la notizia secondo la quale alcuni ricercatori avrebbero collegato NAFLD ai batteri intestinali che producono una grande quantità di alcol nel corpo, trovando questi batteri in oltre il 60% dei pazienti con fegato grasso non alcolico.

Secondo lo studio quello che succederebbe è che quando il corpo è sovraccarico e non riesce a scomporre l’alcool prodotto da questi batteri è possibile lo sviluppo di una steatosi che, non essendoci di fatto assunzione esogena di alcol, può essere annoverata tra le NAFLD.

Il team di ricercatori ha scoperto il legame tra i batteri intestinali e NAFLD quando hanno incontrato un paziente con gravi danni al fegato: analizzandone le feci sono stati individuati diversi ceppi di batteri Klebsiella pneumoniae nell’intestino che producevano alti livelli di alcol in quantità circa 4-6 volte superiori rispetto ai ceppi trovati nelle persone sane.

Per rafforzare quest’osservazione il team ha poi campionato il microbiota intestinale da 43 pazienti NAFLD e da 48 controlli sani e così facendo i ricercatori hanno scoperto che circa il 60% dei pazienti con NAFLD aveva livelli alti di Klebsiella pneumoniae che produce alcol nell’intestino, mentre solo il 6% dei controlli sani si faceva portatore di questi ceppi.

Per indagare ulteriormente se la Klebsiella potesse causare la malattia del fegato grasso, i ricercatori hanno manipolato la flora intestinale microbica di alcuni topi di laboratorio aumentandone la componente di Klebsiella Pneumoniae: tali cavie hanno iniziato a sviluppare steatosi dopo il primo mese, entro 2 mesi, i loro fegati hanno mostrato segni di danni irreversibili: in pratica la progressione della malattia epatica in questi topi era paragonabile a quella dei topi nutriti con alcool.

Quando il team ha somministrato ai topi un antibiotico che ha ucciso la Klebsiella, le loro condizioni sono state invertite.

Non è noto il motivo per cui alcune persone hanno un ceppo di Klebsiella che produce alcol elevato nell’intestino, mentre altre no: è probabile che questi batteri particolari entrino nel corpo delle persone attraverso alcuni vettori dell’ambiente, come il cibo. Inoltre, alcune persone potrebbero avere un ambiente intestinale più adatto alla crescita e alla colonizzazione della Klebsiella rispetto ad altre a causa della loro genetica.

Ciò che è certo è che i risultati dello studio, pubblicati il 19 settembre sulla rivista Cell Metabolism, potrebbero aiutare a sviluppare un metodo di screening per la diagnosi precoce e il trattamento del fegato grasso non alcolico.

FONTE| Articolo originale

Alessandro Savo Sardaro
Redazione | Università Degli Studi di Roma Tor Vergata VI anno corso di laurea in Medicina e Chirurgia “Choose a job that you love and you will never have to work a day in your life”.