I risultati di un nuovo studio pubblicato su Nature mostrano che la disponibilità del recettore mu oppioide (MOR) è ridotta nello striato e in altre regioni del cervello coinvolte nei processi edonici mentre mostra un aumento delle connessioni cortico-subcorticali in pazienti affetti da schizofrenia.
La schizofrenia
La schizofrenia è una psicosi caratterizzata da un decorso superiore ai 6 mesi (mostrando un andamento tendenzialmente cronico e recidivante) e dalla persistenza di sintomi di alterazione del pensiero, del comportamento e dell’affettività con una gravità tale da limitare le normali attività della persona.
Si tratta di una condizione che interessa lo 0,5-1,5% della popolazione adulta complessiva: negli uomini ha un esordio unimodale tra i 18 e i 25 anni, nelle donne invece l’esordio è bimodale (25- 35 anni e 45-59 anni). Il ritardo di esordio nel sesso femminile è stato ricondotto all’accertato ruolo neuromodulatorio degli estrogeni sulla sensibilità dei recettori dopaminergici D2.
Per quanto riguarda i fattori di rischio, oltre a quelli psicosociali, ci sono quelli ambientali tra i quali annoveriamo il contagio virale in utero, nascita in ambienti disagiati, familiarità, mese di nascita (febbraio e marzo).
I sintomi caratteristici, presenti in numero di almeno due per una significativa porzione di temp, sono deliri, allucinazioni, eloquio disorganizzato, comportamento grossolanamente disorganizzato e diminuita espressione emozionale o avolizione (questi ultimi due sintomi costituiscono i cosidetti sintomi negativi schizofrenici).
Inoltre, una o più aree principali di funzionamento, come il lavoro, le relazioni interpersonali o la cura del sé, sono marcatamente sotto il livello raggiunto prima dell’esordio.
Sembra che la predisposizione genetica sia in grado di determinare il disturbo solo in presenza di un importante fattore ambientale psicosociale: i geni interessati sono quelli per la disbindina (cromosoma 6p, espressa sui neuroni glutaminergici e sulle sinapsi dell’ippocampo) e per la neuregulina (cromosoma 8p, fattore di crescita importante per lo sviluppo e funzionamento del sistema nervoso).
Affascinante è l’ipotesi dopaminergica sulla patogenesi della schizofrenia. Essa si basa sull’osservazione che sostanze come anfetamina e cocaina, in grado di facilitare la trasmissione dopaminergica, sono in grado di provocare una psicosi simile a quella schizofrenica: inoltre i pazienti schizofrenici mostrano alterazioni del turnover della dopamina a livello presinaptico e presentano un upregulation dei recettori dopaminergici D2. Tali evidenze avvalorano l’ipotesi secondo cui la schizofrenia sia dovuta ad un’alterazione del sistema dopaminergico avvenuta durante lo sviluppo fetale (alterato sviluppo della sinaptogenesi).
Il neuroimaging funzionale ha mostrato che il volume delle singole regioni cerebrali e il loro relativo flusso ematico e metabolismo risultano diminuiti, parallelamente ricerche neurocognitive palesano che nella schizofrenia si ha una compromissione diffusa con deficit dell’attenzione, della memoria episodica e della gestione delle informazioni e delle funzioni esecutive.
Ultime scoperte
Oltre alla recente scoperta delle differenze esistenti tra i microbiomi intestinali di pazienti affetti da schizofrenia rispetto ai controlli sani, tale patologia psichiatrica è stata al centro dell’attenzione da parte dei ricercatori.
In particolare, ciò che desta da sempre preoccupazione sono i sintomi negativi che includono mancanza di motivazione, isolamento sociale e incapacità di provare sensazioni piacevoli: il problema risiede nel fatto che gli attuali antipsicotici migliorano solo minimamente questi sintomi, ecco dunque il notevole interesse nell’individuare nuovi possibili target terapeutici.
La disregolazione degli oppioidi nella schizofrenia fu suggerita per la prima volta negli anni ’80 sulla base dei risultati di elevati livelli di beta-endorfine nel liquido cerebrospinale nei pazienti con schizofrenia.
A tal proposito l’ultima ricerca sulla scansione del cervello del gruppo Psychiatric Imaging presso la MRC LMS, pubblicata il 3 ottobre in Nature Communications, ha riportato in che modo il sistema MOR contribuisce ai sintomi negativi mostrati nei pazienti con schizofrenia.
Lo studio ha previsto il reclutamento di 19 pazienti schizofrenici e 20 controlli sani di pari età anagrafica.
I recettori mu-oppioidi (MOR) si trovano in una regione del cervello chiamata corpo striato, che costituisce la stazione di input più importante del sistema dei nuclei della base coinvolti nel controllo dei movimenti volontari, l’apprendimento procedurale, l’apprendimento delle abitudini, i movimenti oculari, la cognizione e l’emozione.
I MOR sono recettori che legano le molecole di oppioidi endogene prodotte naturalmente e la stimolazione del sistema MOR avvia una cascata di segnali che provoca un aumento della motivazione a cercare ricompensa . Linee di evidenza convergenti indicano che il MOR ha un ruolo centrale nella funzione edonica. In particolare, i modelli di topo knockout MOR mostrano fenotipi anedonici.
Inoltre, il sistema MOR modula anche l’interazione sociale. I cuccioli di cane knockout MOR emettono meno vocalizzazioni ad ultrasuoni quando vengono rimossi dalla madre, suggerendo un comportamento di attaccamento materno ridotto.
A proposito della schizofrenia è interessante notare che, per la prima volta, questo studio ha dimostrato come i livelli di MOR siano significativamente ridotti nella regione dello striato del cervello e sembra proprio che la mancanza di stimolazione di questo sistema di recettori nel cervello contribuisca a questi sentimenti negativi che i pazienti con schizofrenia possono provare e che causano loro grave disagio.
La ricerca di scansione PET ha, inoltre, rivelato un marcato aumento globale della disponibilità di MOR nei pazienti con schizofrenia nel circuito cerebello-talamo-corticale a fronte della diminuzione di disponibilità nello striato: sembrerebbe dunque che questa dicotomia possa essere alla base delle manifestazioni cliniche con le quali i pazienti schizofrenici si interfacciano.
I risultati di questo studio offrono, dunque, un nuovo promettente punto di partenza per lo sviluppo di un nuovo e necessario trattamento dei disturbi dello spettro schizofrenico. Infatti, gli antipsicotici migliorano solo marginalmente i sintomi negativi e attualmente non esistono trattamenti alternativi ad essi.
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