– “Ti è mai capitato?”
– “sì due volte”
– “Hai mai fatto qualcosa?”
– “No”
– “E te ne sei pentita?”
– “si”
Questo è un inciso dal dialogo tra me e mia madre avvenuto una mattina di settembre. Due le occasioni in cui mia mamma, una stimata ricercatrice in ambito pediatrico, è stata vittima di avances da parte di persone che in teoria avrebbero dovuto vegliare sulla sua formazione.
Lei classe 1962, io 1992.
Sono una neo-specializzanda e quella mattina di settembre scappavo in preda all’angoscia da un corso residenziale per il quale avevo vinto una borsa di studio. Nel cuore della notte precedente avevo infatti ricevuto un messaggio dal responsabile del corso, (un uomo dell’età di mio padre, sposato e con figli) che mi comunicava in una profusione di parole di essere stato così folgorato da me da provare un imbarazzo interiore al mio cospetto, e che rappresentavo il suo ideale di donna.
Nonostante la mia risposta secca che non lasciava nulla all’interpretazione, ero angosciatissima dalla possibilità che si presentasse alla porta della mia camera.
La mattina seguente non sono riuscita a sopportare l’ipocrisia dello spettacolo offerto da questo soggetto in cattedra, che mi considerava un pezzo di carne. Imparare qualcosa era fuori discussione. La stima del docente è la base dell’apprendimento, nessuna nozione può essere trasmessa se questa viene meno.
La frustrazione è stata enorme. La frustrazione di esser percepita come donna prima che come professionista, ma soprattutto la frustrazione di essere stata tradita nel patto formativo che si stipula con chi è nella posizione di insegnante.
Nei giorni successivi ho parlato con molte mie colleghe, e sorprendentemente in molte mi hanno confidato che gli era successo la stessa cosa, e che anzi è normale, capita, e che per quanto orrendo, bisogna imparare a non dar troppa importanza, per sopravvivere, perché loro sono potenti e possono rovinarti la carriera. Pure.
Verosimilmente messaggi come quello che ricevuto sono stati spediti a chissà quante giovani dottoresse. Un amo gettato in un mare di pesci ritenuti insicuri abbastanza da abboccare. Quello che mi disturba di più è che noi per loro non siamo lì per imparare e per lavorare, ma per metterci in mostra, per attirare l’attenzione del “maestro”.
Io non voglio che mia figlia mi chiami un giorno per dirmi che ha ricevuto avances dai suoi tutor. O se succede vorrei risponderle che sì, anche a me è successo ma ho fatto di tutto affinchè non succedesse a lei. Che mi sono impegnata per crescere il suo eventuale fratellino nel rispetto delle donne, e che non ho avuto paura di parlare per me stessa e per le altre donne che ne avessero avuto bisogno.
Per questo ho pensato di creare un canale che permetta di segnalare le moleste di qualsiasi tipo ricevute da tutor, professori etc.
Potete inviare le vostre segnalazioni (anonime e non) a questo indirizzo email: medintroubles@gmail.com. Mi rivolgo soprattutto alle specializzande/studentesse di medicina, ma l’invito è esteso a tutti. Mi impegno a non divulgare l’identità di chi mi vorrà scrivere.
Questo vorrei che fosse un contenitore grazie al quale poter superare la paura di eventuali ritorsioni e prendere una posizione contro queste ingiustizie, segnalandole ai giornali o alle autorità competenti.
Gli obiettivi di questo contenitore sono due: il primo è far sì che nessuna si senta sola ed impotente, ma che possa denunciare in qualche modo l’accaduto (e ove vi fossero le condizioni anche procedere per vie legali singolarmente o collettivamente), il secondo è quello di disincentivare queste mele marce dal mettere in atto questi comportamenti.
Auguro a tutti i Professori di insegnare come prima cosa l’etica della professione ed una certa moralità. Ed auguro a quel “maestro” di ritrovare la dignità di uomo sposato.
dott.ssa Francesca Grosso