Sonno ed ansia: che legame esiste?

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Secondo un paper pubblicato su Nature Human Behaviour, una buona qualità del sonno avrebbe una fortissima funzione ansiolitica: la mancanza di riposo o un riposo notturno di scarsa qualità contribuirebbe, quindi, alla genesi dei disturbi d’ansia.

Può la qualità del nostro sonno determinare il livello di stress a cui andiamo incontro? Secondo i ricercatori, sì e, a quanto pare, per la prima volta è stata osservata una correlazione causale tra scarsa qualità del sonno e disturbo d’ansia.

L’ansia

Ma cosa si intende per disturbo d’ansia? L’ansia, di per sé, non è che una normalissima emozione scatenata da situazioni d’emergenza che possono arrecar danno o mettere in pericolo la vita. È uno stato di “preallarme” in cui il nostro corpo è pronto a rispondere all’eventuale situazione e, una volta terminato il pericolo, cessa anche l’ansia ad esso legata.

Ma nel disturbo d’ansia, non è così: l’ansia, da emozione fondamentale per la sopravvivenza dell’essere umano, si trasforma nel suo peggior nemico, non cessando a passato pericolo e diventando una vera e propria costante. La risultante è una modificazione, anche profonda, nei comportamenti e nello stato psicofisico del soggetto, determinando un peggioramento della qualità della vita di chi ne è affetto date le evidenti ripercussioni in ambito lavorativo, sociale e familiare.

La problematica non è assolutamente da prendere sottogamba. Secondo la World Health Organization, in un rapporto pubblicato nel 2017 (lo potete trovare qui), in soli dieci anni (dal 2005 al 2015) il numero di soggetti affetti da un disturbo d’ansia è aumentato esponenzialmente, arrivando a toccare i 246 milioni di individui ed è destinato ad aumentare.

Sono del tutto giustificati, quindi, gli sforzi impiegati dalla comunità scientifica nella comprensione di questo disturbo: ora, al banco degli imputati vi sarebbe una problematica che ci colpisce da vicino, in quanto comune nei paesi industrializzati.

Lo studio

Lo studio in oggetto era già stato pubblicato in passato ma comprendeva solamente 18 partecipanti: il paper pubblicato recentemente su Nature non solo ha superato l’importantissimo processo di peer review ma ha anche aggiunto nuovi dati provenienti da nuovi test con un campione decisamente più rappresentativo, che hanno confermato i risultati dello studio originale. Qui di seguito, quindi, verranno descritte le modalità con cui è stato condotto lo studio originale.

Per stabilire un nesso di casualità tra privazione del sonno e trigger del disturbo d’ansia i ricercatori hanno sottoposto 18 individui sani e di giovane età a due sessioni sperimentali. Durante tutto l’arco dello studio, i soggetti sono stati sottoposti a varie indagini: risonanza magnetica funzionale (metodica che mostra in real time la funzionalità delle strutture encefaliche), polisonnografia (esame condotto durante il sonno, che monitora le diverse funzioni fisiologiche che accorrono durante questa fase e che ne registra eventuali variazioni) e a State Trait Anxiety Inventory (o STAI, una metodica a questionario che permette di valutare lo stato d’ansia di un soggetto).

Durante queste sessioni, i soggetti sono stati sottoposti alla visione di materiale audiovisivo in cui apparivano situazioni “avverse”, in modo da suscitare uno stato d’ansia o di agitazione (più o meno quello che ognuno di noi sperimenta nei momenti di suspense di alcuni film).

La prima sessione si teneva dopo una notte di lungo riposo; la seconda, invece, dopo una notte passata senza dormire svolgendo diverse attività (che, tuttavia, erano prettamente ricreative, quindi non fonte di stress).

I risultati

Circa il 78% dei partecipanti in condizioni di privazione del sonno, ha mostrato un incremento dei livelli d’ansia.

In particolare, analizzando lo STAI dei soggetti sottoposti alla privazione di sonno si è visto come una sola notte senza sonno portasse ad un incremento del 30% dei livelli d’ansia, ben oltre il limite superato il quale diagnosticare un disturbo d’ansia.

La risonanza magnetica funzionale e la polisonnografia hanno trasformato in dato oggettivo quanto dimostrato dai questionari, permettendo ai ricercatori di asserire che era stato trovato un nesso di causa-effetto.

La risonanza magnetica funzionale ha mostrato come nel cervello dei soggetti sottoposti alla sessione di privazione del sonno, le aree implicate nella genesi dell’ansia fossero iperattivate, mentre le aree che controllano questa emozione fossero ipofunzionanti: in particolare, l’amigdala (implicata nel meccanismo dello “scappa o combatti”) e la corteccia cingolata antero-dorsale (normalmente attiva in situazioni emotive come l’ansia)  erano iperattivate, mentre la corteccia prefrontale mediale (che regola e modula alcune emozioni, tra cui l’ansia) era praticamente non funzionante.

Tramite polisonnografia, invece, è stato riscontrato come i soggetti aventi fasi non-REM (sonno profondo) più lunghe avessero allo stesso tempo il punteggio più basso allo STAI, dimostrando che più lunga e imperturbata era la fase di sonno profondo, minore era il livello d’ansia sperimentato da questi soggetti.

Conclusioni

Come comportarsi, quindi, alla luce di questi risultati? Sono i ricercatori stessi a dire che queste scoperte possano quasi sembrare scontate: tuttavia pongono l’attenzione su un importantissimo aspetto della nostra salute, e cioè che essa derivi da un corretto stile di vita.

Il sonno, quindi, non ha semplicemente una funzione energetica ma va sempre più assumendo un ruolo basilare anche nel mantenimento dell’omeostasi psicofisica: è stato dimostrato che gli adulti che dormono meno di sei ore a notte, infatti, raddoppiano il rischio di ictus cerebrale, di infarto del miocardio e di scompenso cardiaco (e ora, anche di sviluppare un disturbo d’ansia).

Se hai difficoltà nell’addormentarti o pensi di non godere di una buona qualità del sonno, rivolgiti al tuo medico: ne gioverà non solo il tuo benessere fisico, ma anche psicologico.

FONTE | Overanxious and underslept

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Jacopo Castellese
Appassionato di scienza e tecnologia. Quando non sono impegnato in attività di reparto o di studio cerco sempre di tenermi aggiornato in modo da scardinare le false credenze che le pseudoscienze di oggi (o il dr. Google di turno) cercano di affermare.