Tutti noi ricordiamo le immagini che hanno fatto da sfondo all’estate del 2014, quando i media nazionali ed internazionali si sono prodigati nel mostrarci lo stato e le conseguenze della terribile epidemia avvenuta in Africa occidentale.
La causa di quella che, ad oggi, è una delle più devastanti epidemie mai registrate è stata riconosciuta nel virus Ebola,specie Zaire, agente infettivo responsabile, in comunione con gli altri membri del genere Ebolaviridae, della febbre emorragica omonima.
Ora, grazie agli sforzi di produzione della società farmaceutica Merck e alla pre-approvazione del vaccino da parte della European medicine agency, tutto questo potrebbe essere solo un triste ricordo.
Le dimensioni del problema: la febbre emorragica
L’infezione da virus Ebola, si caratterizza per il periodo di incubazione variabile, dai 2 ai 21 giorni, ed un esordio improvviso che si manifesta con un quadro clinico aspecifico: febbre, malessere generalizzato, mialgie, mal di gola, cefalea, seguiti da segni di compromissione generale.
In seguito, se non si ha un adeguato supporto medico, si manifestano vomito, diarrea, rash maculo-papulare, segni di insufficienza renale e, nei casi più gravi, emorragie profuse dagli orifizi naturali (e.g. bocca, occhi, ano, gengive) o artificiali, come i siti di iniezione, che rendono complicata una gestione del paziente già di per sé complessa.
Un ruolo assai rilevante, e che ha giustificato l’alto numero di infezioni, è ricoperto dalla facilità con cui il virus si diffonde: il contagio avviene per contatto diretto con liquidi o materiali contaminati, siano essi inerti o biologici, e a questo segue quasi sempre l’infezione, essendo un agente particolarmente virulento, capace addirittura di sopravvivere all’ospite.
Il serbatoio naturale sono primariamente i pipistrelli della frutta, endemici in quelle zone dell’Africa, il che permette di comprendere il perché delle sporadiche riattivazioni del virus.
La mortalità, nei casi non trattati, può raggiungere anche il 90%, tanto che in media, dei circa 29000 casi di contagio nel 2014, i decessi sono risultati essere più di 11000.
E il vaccino?
Vista la grande aggressività del virus, l’endemicità dei portatori, la mortalità così elevata, appare evidente la necessità dello sviluppo di un vaccino efficace.
Prima della grande epidemia sopra citata, scarso o nullo interesse era stato devoluto alla ricerca di un sistema efficace di profilassi ma l’importanza dell’evento, la copertura mediatica e l’avanzamento delle conoscenze sul patogeno hanno portato ad aumentare drasticamente i fondi per lo sviluppo arrivando ad una prima, vera, risposta.
Il vaccino in questione, chiamato rVSV-ZEBOV-GP, è stato brevettato nel 2003 dalla Merck, ma solo dopo 16 anni e numerosi trial clinici, di cui il più importante nel 2015, nel quale sono state reclutate 11841 persone, è stato finalmente pre-approvato dalla EMA. Attualmente altri 7 vaccini sono in sviluppo, ciascuno in fasi diverse, di cui uno, prodotto dalla Johnson and Johnson, sottoposto al vaglio della stessa agenzia.
Pre-approvato (pre-qualified) significa che il farmaco rispetta tutti gli standard di qualità, sicurezza ed efficacia, ma che ancora non può essere del tutto distribuito alla popolazione. Quindi, manca ancora un piccolo passetto prima della diffusione definitiva.
Cosa significherà avere un vaccino disponibile?
La conseguenza più legittima è un significativo abbattimento del rapporto esposti/contagiati, considerando l’elevatissima efficacia, pari al 97,5%, nel prevenire l’infezione e la diffusione, ma ancora non è chiaro se, nel lungo periodo, sarà necessario integrare con una dose booster che permetta di mantenere alta la protezione nei soggetti persistentemente esposti.
Gli studi fatti per la produzione di questo specifico farmaco, poi, potrebbero essere utili per migliorare e velocizzare lo sviluppo di altri sieri, come nel caso del vaccino contro le specie Sudan, responsabili di almeno 7 altre piccole epidemie in quei Paesi.
Da definire inoltre sono le modalità di profilassi, ovvero le strategie con cui somministrare ed eventualmente rinnovare l’esposizione, dato che variano da vaccino a vaccino (e.g il sopracitato della Johnson and Johnson ha bisogno di una dose booster al 56esimo giorno successivo alla prima iniezione, mentre quello della Merck è monodose).
Non ci resta che attendere la definitiva approvazione e sperare che un giorno si riesca ad eradicare completamente la malattie e a garantire la sopravvivenza ai contagiati, grazie a cure meno intensive ma più efficaci.
FONTI| articolo Nature; “Principles and practice of Infectious diseases” Mandell, Douglas and Bennett, 9th edition; articolo WHO
APPROFONDIMENTI| Nature 2015