Nel suo ultimo numero, la blasonata rivista scientifica The Lancet Public Health ha pubblicato un articolo per commentare i trend della sanità italiana. L’analisi, che ha tenuto conto di quasi due decenni di statistiche (1990-2017), disegna un quadro virtuoso quanto fragile. Un sistema sanitario, quello italiano, tenuto in piedi da una folta schiera di competenze che nei prossimi lustri fuoriuscirà, senza un adeguato rimpiazzo.
Eppure, di giovani medici pronti a impegnarsi nelle strutture pubbliche ce ne sono, e tanti. Sono quelli che attendono un atto di coraggio e intelligenza dal Governo, aspettando quel famigerato aumento delle Borse di Specializzazione che viene sistematicamente ritoccato al ribasso. Senza Borse (leggasi: stipendio + formazione specialistica), e cioè senza medici, quei primi scricchiolii dell’ingranaggio diventeranno tonfi e poi fratture sociali.
- Pole position, o forse no. Il Sistema Sanitario Nazionale, nel 2010, è stato classificato come 2’ per performance dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Nel 2013 il Bloomberg Global Health Index ha posizionato il nostro SSN al primo posto. Nel 2016 il GBD Global Burden Diseases, Injuries and Risk Factors Study aveva posto il SSN italiano al 9’ posto.
- Un paese sempre più anziano. In termini di SDI Indice Socio-Demografico, l’Italia si colloca globalmente al 28’ posto, sotto la Polonia (27’) e sopra il Regno Unito (29’). L’indice SDI misura lo sviluppo di un Paese componendo lo stipendio medio, l’educazione, il tasso di fertilità. Con un tasso di fertilità stabile dal 1990, il decimo più basso nel mondo, la struttura della popolazione italiana sta cambiando, con un’età media che è passata dai 38,4 anni del 1990 ai 44,4 anni del 2017.
- Ma invece le nascite? La mortalità infantile e sotto ai 5 anni, nel 2017, con gli ultimi dati disponibili, era più bassa dell’atteso: la mortalità infantile si attestava ai 2,7 morti ogni 1000 nati; la mortalità sotto ai 5 anni si attestava invece ai 3,2 morti ogni 1000 nati vivi.
- Parliamo di soldi. Con un indice HAQ (ovvero di accesso individuale alle cure e qualità delle cure) di 81,54 l’Italia ha mostrato negli anni un aumento costante della propria performance, fino al 2016, in linea con gli altri 12 paesi nella top ten globale. Nel 2015 la spesa sanitaria pro capite si divideva in un 75% di spesa pubblica; un 23% di finanze provenienti dagli utenti; un 2% derivato dal privato. Eppure dal 2010 al 2015 la spesa sanitaria, come percentuale del PIL, si riduce passando dal 7% al 6,7% e aumentano le spese dei singoli cittadini, che da 1,8% raggiungono il 2%. Insomma, di recente qualcuno spende di più, e non è chi ci si aspetterebbe.
- Cattivi comportamenti. Fra i 15 maggiori fattori di rischio per l’aumento del DALYs (anni di vita persi per disabilità, morte prematura o malattia), ben otto sono di tipo comportamentale: fumo, alcool, diete scorrette… ed altri tre sono fattori riconducibili a comportamenti (per esempio, elevato BMI). Tutti questi fattori di rischio impattano sui decessi e i DALYs relativi a malattie cardiovascolari, tumori, diabete e malattie del rene e del fegato, infezioni respiratorie. Ma certo, difficile che un governo incapace di stanziare seriamente delle possibilità che permettano ai giovani medici di completare la propria formazione sia in grado “sborsare” qualcosa addirittura per la sensibilizzazione – se non sei d’accordo, leggi qui sotto.
- Un paragone, per intenderci. Rispetto ai paesi EU15, gli indici YLLs (anni di vita persi) e YLDs (anni di vita con disabilità) italiani nel ventennio 1990-2017 hanno scalato delle posizioni, migliorando. Nel 2017 l’Italia aveva il 4’ più basso indice YLL al mondo (standardizzato per età), il più basso nell’area europea.
- In quale ambito andiamo peggio rispetto alla media? Le principali cause degli anni persi rispetto all’aspettativa di vita media, sempre in Italia, sono l’ipertensione, il cancro al fegato, allo stomaco, ed il diabete: tutte cause per cui performa in maniera peggiore rispetto alla media degli altri paesi europei. In sostanza, nei quadri clinici più complessi e da seguire in cronico, con delle strutture di riferimento forti e ben finanziate, la sanità italiana si dimostra poco performante. Non vorremmo ricondurre tutto ad una questione economica, ma tant’è.
- In termini di aspettativa di vita all’età di 65 anni, nel 2017 i ranking collocavano l’Italia come terzo paese meglio performante, subito dopo Francia e Spagna. Nel 2017, l’aspettativa di vita in Italia all’età di 65 anni era pari a 21 anni: un aumento di più di 3,5 anni rispetto al 1990.
- La droga miete vittime, ancora. In Italia le affezioni riconducibili all’uso di droga, con gli ultimi dati disponibili, quelli del 2017, causavano 147000 DALYs. In effetti, commenta l’articolo, servirebbero sforzi maggiori a livello di promozione e prevenzione per ridurre l’impatto di tutti quei fattori di rischio per patologie dipendenti dal comportamento.
- Ma un Paese che nel 2015 spendeva per la prevenzione circa 87 euro a persona (rispetto agli 111 euro spesi dalla Germania o ai 155 euro spesi dal Regno Unito) difficilmente sarà in grado di fare fronte a problemi percepiti come inutili o minoritari – siano questi la prevenzione o la formazione del futuro apparato di competenze. Quale futuro?
Un paese che tratta il suo sistema sanitario come una voce di spesa che drena finanze, incapace di modulare le finanze per affrancare la società dai bisogni più urgenti, non può che tracollare. E non è un problema di classifiche. Di base, manca una volontà politica chiara. Perché questi numeri sono ancora più opachi pensando all’imbuto formativo che ingolfa la formazione di migliaia di giovani medici pronti a entrare nelle strutture ospedaliere pubbliche con competenze fresche e capacità nuove.
Ma, per ora, il futuro (di tutti) resta opaco.
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