Quanti di noi dopo tutte le scorpacciate di queste festività decideranno di saltare uno o più pasti? Quanti penseranno ad una o più giornate di restrizione calorica? Probabilmente molti. Sempre molti,però, non sanno tutto quello che nel nostro organismo può innescarsi con un digiuno più o meno frequente.
Da un punto di vista medico-scientifico gli studi effettuati riguardanti la restrizione calorica e il digiuno intermittente hanno di fatto mostrato risultati interessanti che devono, comunque, essere maggiormente chiariti ed approfonditi.
In tal senso, una review da poco pubblicata sul New England Journal of Medecine mostra le evidenze in maniera molto chiara.
Cosa intendiamo per digiuno intermittente
Innanzitutto, bisogna dire che esistono vari protocolli di digiuno intermittente. Il concetto generale è quello di regolare le tempistiche di assunzione degli alimenti in base a finestre temporali di digiuno/restrizione calorica. Deficit calorico e influenza sul metabolismo ormonale sono i due pilastri su cui si fonda tale protocollo.
I protocolli maggiormente conosciuti e applicati sono:
- schema 16/8: digiuno per 16 ore al giorno e consumo dei pasti nelle 8 ore restanti, in genere su un massimo di 2 giorni alla settimana;
- schema 5-2: sono previsti apporti calorici simil digiuno (circa 500-700 kcal) durante 2 giorni in una settimana, i restanti 5 giorni si mangia normalmente;
- schema “Eat-Stop-Eat”: si digiuna per 24 ore consecutive uno o due giorni alla settimana.
Influenza sulle funzioni metaboliche e cellulari
Studi preclinici su animali hanno mostrato costantemente un effetto modificante del digiuno intermittente su varie funzioni metaboliche e cellulari.
In primis è stato dimostrato come inneschi uno switch metabolico in quanto si passa dal glucosio ai corpi chetonici come principale fonte di energia. Nell’uomo in particolare servono circa 8-12 ore di digiuno affinché aumentino i livelli circolanti di queste molecole.
I corpi chetonici, tuttavia, non sono importanti solo come fonte di energia. L’importanza di questo cambiamento in effetti è data anche dal fatto che queste molecole svolgono un ruolo nel signaling cellulare andando a regolare l’attività e l’espressione di molecole quali il PGC-1α, il fibroblast growth factor, il NAD+, le sirtuine, il PARP1 e il CD38.
Infatti, è stato osservato come il digiuno intermittente fosse correlato ad un’induzione dell’autofagia, della mitofagia e all’inibizione di mTor agendo sulla resistenza allo stress ossidativo e rallentando i processi d’invecchiamento.
Questo spiega quindi quanto osservato già dai primi studi sui modelli animali sottoposti a digiuno: il miglioramento dell’aspettativa di vita e dello stato di salute. Tuttavia, ulteriori studi hanno poi chiarito in realtà come l’entità di questo effetto sia influenzato da sesso, dieta, età e fattori genetici.
Inoltre, è stato osservato come i corpi chetonici (prodotti durante il digiuno) stimolano l’espressione del gene per il BDNF (brain-derived neurotrophic factor) con implicazioni sulla salute cerebrale. Questo, associato anche alla maggior resistenza allo stress ossidativo ci permette di giungere al razionale di un’altra evidenza: il miglioramento di vari domini congnitivi quali memoria spaziale, di lavoro, verbale, associativa oltre che ad un rallentamento del decadimento cognitivo negli anziani.
Applicazioni in ambito clinico
In termini concreti numerosi sono stati i trials clinici fatti negli anni e in relazione a vari contesti clinici.
Dal punto di vista del rischio cardiovascolare il digiuno intermittente ha apportato un miglioramento, che sicuramente è influenzato anche dalla riduzione dell’obesità addominale in questi soggetti. Questo miglioramento si osservava attraverso un effetto benefico sulla pressione arteriosa, ad un’influenza sui livelli di colesterolo HDL, LDL e trigliceridi, ad una maggior stabilità della glicemia ma anche ad una riduzione dei markers di infiammazione sistemica e di stress ossidativo fondamentali nella fisiopatologia dell’aterosclerosi.
In popolazioni, come quella di Okinawa, che seguono un’alimentazione a bassissimo contenuto calorico e che simulano i protocolli di digiuno intermittente è stata inoltre osservata una ridotta prevalenza di diabete mellito di tipo 2 e obesità.
È stata per di più dimostrata un’associazione positiva tra digiuno intermittente e disturbi respiratori negli asmatici obesi. Questo probabilmente è dovuto sia ad una perdita di peso che per l’azione sullo stress ossidativo e sull’infiammazione sistemica del digiuno.
Infine, due studi pilota hanno mostrato come in pazienti con sclerosi multipla sottoposti a digiuno intermittente vi sia stata una riduzione della sintomatologia se pur valutata in un intervallo di tempo di circa 2mesi.
In ambito oncologico, come anche reumatologico e di patologie neurodegenerative, invece, risultati positivi sono stati ottenuti in studi su animali ma trials clinici non sono stati ancora ultimati o comunque non hanno mostrato chiari risultati. In ambito oncologico ancor più, la questione è complicata dal fatto che spesso ci si trova con pazienti in stato di malnutrizione e sarcopenia.
Difficoltà applicative
Protocolli di digiuno intermittente sono controindicati in tutti gli individui in fase di crescita e in chi ha necessità di assumere quantitativi costanti di nutrienti (donne in gravidanza, individui con stati carenziali, ecc.).
A queste controindicazioni bisogna aggiungere delle difficoltà oggettive nell’attuare questi protocolli. Sicuramente è difficile ottenere una buona compliance sia perché tutti i protocolli si discostano molto dalla tradizionale ripartizione dei pasti nella giornata sia perché associata nel primo mese a fenomeni di irritabilità e scarsa concentrazione.
Tuttavia, bisogna considerare anche i limiti relativi alle figure professionali coinvolte: medici e dietisti/nutrizionisti. Infatti, molti sono i medici con scarsa conoscenza di nutrizione in generale e di digiuno intermittente nello specifico, e figure professionali specifiche, quali i dietisti, sono scarsamente rappresentati nei nostri ospedali.
Conclusioni
A fronte di questi risultati possiamo affermare che il digiuno intermittente risulti essere ad oggi un’ulteriore arma terapeutica a disposizione del medico e non la soluzione a tutti i mali. Nuovi studi in tal senso potrebbero fornire ulteriori evidenze a cui dovrebbe però corrispondere anche una rispettiva formazione e informazione delle figure coinvolte.
In ultimo, bisogna considerare come queste evidenze ottenute con lo studio della restrizione calorica e dei protocolli di digiuno intermittente abbiano permesso di sviluppare e testare interventi farmacologici in grado di simularne gli effetti. (vedi articolo “geroprotettori: una possibile risposta ai problemi della terza età“)
FONTI| Review NEJM