Novità in oncologia: Tucatinib nel tumore al seno e Olaparib nel tumore pancreatico

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Il mese di Dicembre, da un punto di vista oncologico ha portato alla luce i risultati di due studi molto importanti (HER2CLIMB e POLO) che promettono di cambiare radicalmente l’approccio che oggi abbiamo nel trattamento di due tra le più diffuse neoplasie: il tumore al seno HER2+ e l’adenocarcinoma pancreatico.

Tucatinib nel tumore al seno HER2+

Circa il 20% delle pazienti affette da un tumore al seno presenta, all’analisi molecolare, una amplificazione del gene ERBB2 che si traduce in una iper-espressione sulla superfice della membrana della cellula neoplastica del recettore HER2.

Tale assunto biologico rappresenta anche il razionale terapeutico: poiché la cellula neoplastica si moltiplica ricevendo stimoli da questo recettore (che è iperespresso, quindi anche minimi stimoli portano ad importanti proliferazioni cellulari differentemente da quanto accade in cellule “sane”) è utile bloccare tale recettore mediante anticorpi monoclonali (Trastuzumab, Pertuzumab, ecc).

Un trattamento oncologico si compone, in genere, di “linee terapeutiche” sequenziali.
In parole povere, allorquando un determinato farmaco non è più efficace per la malattia del paziente (perché c’è una ripresa di malattia o una progressione documentata all’imaging, un incremento dei marcatori, ecc) si passa alla linea successiva (che si suppone essere lievemente meno efficace rispetto alla pregressa ma che può condurre ad una nuova risposta/stabilizzazione di malattia).
A titolo esemplificativo, in un tumore HER2 si procede come segue:

1 LINEA –> Trastuzumab + Pertuzumab + Taxani

2 LINEA –> Trastuzumab emtansine ( il trastuzumab è legato alla mertansina, un chemioterapico che agisce sulla tubulina)

LINEE SUCCESSIVE (non esiste uno standard universalmente accettato) –> inibitori di TRK, Trastuzumab + chemioterapia, Trastuzumab + Capecitabina, Trastuzumab + Lapatinib

Il grosso problema in un tumore HER2+ (oltre che la progressiva resistenza acquisita via via che ci si inoltra nelle linee terapeutiche) è la particolare predisposizione che questa neoplasia ha nello sviluppare metastasi cerebrali (fino al 50% delle pazienti le presenta).

Benché siano stati utilizzati vari approcci (resezioni neurochirurgiche o radioterapia stereotassica) i risultati non sono stati incoraggianti.
Tutto ciò è inasprito dal fatto che la permeabilità dei farmaci sistemici utilizzati (anticorpi monoclonali in primo luogo) nel SNC è ridotta dalla presenza della barriera emato-encefalica.

Il paradigma precedentemente esposto è in procinto di cambiare grazie all’introduzione di un nuovo farmaco: il Tucatinib.
Questo è un inibitore di tirosin-chinasi orale (con enormi vantaggi circa l’aderenza della paziente alla terapia)  con alta affinità per dominio extracellulare di HER2 e poca o nulla affinità per il recettore EGFR (importante oper gli effetti collaterali) che ha dimostrato promettenti risultati nello studio internazionale, di fase 2, controllato, in doppio cieco HER2CLIMB i cui risultati sono stati presentati alla recente sessione del San Antonio Breast Cancer Symposium.
L’utilizzo del Tucatinib, infatti, in associazione al Transtuzumab e la Capecitabina ha dimostrato una riduzione del rischio di morte del 34% rispetto al gruppo di controllo (cioè le pazienti che assumevano solo Transtuzumab e Capecitabina).

I risultati sono assolutamente incoraggianti:

  • Le pazienti che hanno assunto tucatinib hanno avuto una sopravvivenza media complessiva (OS) di quasi 22 mesi, rispetto ai 17 delle pazienti senza tucatinib
  • La progressione libera da malattia (PFS) è stata di 7.8 mesi per il gruppo con il nuovo farmaco rispetto ai 5.6 mesi del gruppo di controllo.
  • Nondimeno, l’aggiunta del tucatinib conduce ad una riduzione del 46% del rischio di progressione di malattia oncologica e di morte a causa di quest’ultima.

La particolarità di questo trial è l’inclusione anche di pazienti interessate da metastasi encefaliche (non trattate o addirittura in progressione) per le quali, tra l’altro, il farmaco dimostra una particolare efficacia.

E’ necessario però, ricordare i criteri di inclusione dello studio (che ci indicano quali pazienti sono eleggibili di tale farmaco):

  • Pazienti maggiorenni in buono status di salute (scala ECOG 0-1)
  • Aventi una malattia HER2 positiva in stadio avanzato non resecabile o metastatico
  • Che abbiano già affrontato precedenti linee terapeutiche, nello specifico con trastuzumab, pertuzumab e trastuzumab emtansine

Gli effetti collaterali del farmaco sono stati moderati e comunque pienamente gestibili (prevalentemente diarrea, ma anche eritrodisestesia palmo-plantare, incrementi di transaminasi fugaci e di basso grado).

Siamo in attesa, in queste settimane/mesi, dell’approvazione da parte dell’FDA di questo nuovo e promettente farmaco considerando anche che, negli ultimi giorni di Dicembre, la casa produttrice Seattle Genetics ha inviato un “application form” all’FDA stessa per incentivarne l’approvazione.

Olaparib nel tumore del pancreas BRCA+

Mentre nel precedente paragrafo si è parlato di un farmaco non ancora disponibile sul mercato, in questo caso la situazione è ben diversa.
Il 30 dicembre 2019 l’FDA ha infatti approvato l’utilizzo dell’Olaparib nel trattamento dell’adenocarcinoma del pancreas BRCA mutato che non abbia dimostrato progressione per almeno 16 settimane a seguito di una prima linea di trattamento chemioterapico a base di platino.

Nella precedente frase ci sono 2 elementi di novità per i non addetti ai lavori:

  • L’utilizzo dell’Olaparib –> questo è un inibitore di PARP, cioè di un complesso proteico avente come scopo quella di riparare il DNA cellulare e prevenire l’apoptosi.
    Chiaramente, in una cellula tumorale che deve essere eliminata, avere dei sistemi che riparino i danni indotti dalla chemioterapia è per noi svantaggioso: l’uso di Olaparib permette di bypassare questo ostacolo.
    Tra l’altro, abbiamo già parlato di questo farmaco in proposito del tumore ovarico
  • Tumore del pancreas BRCA mutato –> è luogo comune, grazie anche ad Angelina Jolie, che abbinato alla mutazione del gene BRCA ci siano solo i tumori al seno.
    Ahimè, non è così.
    I geni BRCA1 e 2 sono infatti oncosoppressori implicati nei meccanismi di riparazione del DNA che, quando mutati, conducono ad un maggior rischio di sviluppo di melanomi, tumore del pancreas e carcinoma prostatatico (oltre al tumore della mammella e ovarico)

L’approvazione dell’FDA deriva dai risultati della fase 3 dello studio POLO che ha dimostrato un aumento della PFS fino a quasi 8 mesi nel gruppo che assumeva Olparib rispetto ai 3.8 del gruppo placebo.
Inoltre, dopo 2 anni, circa il 22% dei pazienti che assumeva l’inibitore di PARP non ha avuto progressione di malattia (cosa che invece è accaduta solo nel 9% dei soggetti che assumevano placebo).

Tali risultati sono significativi per un tumore aggressivo come quello pancreatico ma, grazie all’approvazione in prima linea di questo farmaco, si è riusciti a guadagnare un tempo quasi doppio di PFS rispetto ai paradigmi di cura precedenti (con beneficio per il paziente, perché Olaparib può essere assunto oralmente e con effetti indesiderati assolutamente ingestibili).
Chiaramente, questo comporterà l’utilizzo dello strumento diagnostico “BRACAnalysis CDx” per valutare se quel particolare tumore pancreatico sia portatore di mutazione BRCA ( e quindi eleggibile di trattamento).

FONTI | Articolo 1,Articolo 2, Articolo 3