La quarantena può essere un’esperienza spiacevole per chi la vive: la separazione dai propri cari, la perdita di libertà, l’incertezza riguardo lo stato di salute e la monotonia del quotidiano sono tutti fattori che in alcune occasioni possono portare a effetti non trascurabili.
Nella popolazione generale i reperti più frequenti sono la riduzione del tono dell’umore (73%) e l’irritabilità (57%), con l’ansia e la rabbia (entrambi 15% circa) che riguardano soprattutto chi ha manifestato alcuni sintomi della malattia.
Comuni sono la confusione riguardo le direttive fornite da enti competenti e la percezione di mancanza di trasparenza nelle comunicazioni ufficiali; ne consegue che un pesante predittore di cedimento psicologico è la fatica ad attenersi alle restrizioni imposte.
Categoria particolarmente vulnerabile è quella dell’infanzia: i bambini sottoposti a quarantena mostrano sintomi da PTSD 4 volte superiori a coetanei non sottoposti a quarantena.
Riguardo ai genitori invece un dato curioso viene da uno studio che ha evidenziato come non avere figli o averne almeno 3 possa essere un fattore protettivo rispetto all’averne uno soltanto.
Categoria fortemente a rischio è infine quella del personale sanitario: gli operatori sottoposti a quarantena riportano maggiore incidenza di sintomi da stress acuto come ansia, distaccamento emotivo, riluttanza al lavoro e scarsa capacità di concentrazione; i sintomi da disturbo da stress post traumatico sono acuiti dal senso di colpa (anche per aver “abbandonato” i colleghi al lavoro), dalla preoccupazione di essere veicolo di contagio, dalla frustrazione e da un sentimento di solitudine più intenso rispetto ai non addetti ai lavori.
Fonte | www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(20)30460-8/fulltext
A cura del dott. Marco Upali
Revisionato dal dott. Simone Salemme