Alzi la mano chi può vantare la conoscenza di una persona che pur mangiando qualsiasi cosa ingrassa con difficoltà.
Bene, se conoscete una persona del genere (o vi sentite chiamati in causa) sappiate che la ricerca scientifica è prossima all’aver individuato la causa stante dietro a questo invidiabile fenomeno.
Dalle pagine della prestigiosa rivista Cell arriva infatti lo studio di un gruppo internazionale di ricercatori il quale afferma di aver identificato un gene che sarebbe in grado di “gestire” il metabolismo lipidico, favorendo – se mutato – il dimagrimento e la lipolisi.
Il condizionale, tuttavia, è d’obbligo visto che i risultati sono stati osservati su cavie di laboratorio (in particolare nei roditori e nella “cara” Drosophila) e non sugli umani: bisognerà attendere diversi anni prima di vedere risultati concreti su soggetti umani.
È chiaro, tuttavia, che se i risultati di questo studio fossero confermati anche sull’umano, ci ritroveremmo di fronte ad un paradigm shift nella lotta all’obesità e alle malattie ad essa correlate (tra cui le patologie cardiovascolari, tra le prime cause di morte nei paesi industrializzati), in quanto potremmo sviluppare delle target therapies per alterare la normale funzionalità di questo gene e indurre il dimagrimento (con buona pace del suddetto amico).
I ricercatori hanno puntato i riflettori su un gene dal nome non troppo “amichevole”: ALK (Anaplastic Lymphoma Kinase, “chinasi del linfoma anaplastico”), codificato sul cromosoma 2 che, sebbene alcune sue varianti siano associate a patologie oncologiche (basti pensare allo stesso linfoma anaplastico a grandi cellule T), nella forma “sana” è un importantissimo protagonista nello sviluppo cerebrale e del sistema nervoso.
La ricerca del candidato genetico
Utilizzando un particolare database (l’Estonian Biobank una raccolta di codici genetici prelevati nella popolazione estone) i ricercatori hanno esaminato il genoma e i dati clinici di 47.000 individui tra i 20 e i 45 anni e selezionato gli individui con un Body Mass Index (BMI) indicante una condizione di sottopeso o normopeso. Sono stati selezionati soggetti in buono stato di salute, ossia in assenza di condizioni patologiche che potessero giustificare l’eccessiva magrezza.
Analizzando le differenze genetiche tra i soggetti sottopeso e normopeso, i ricercatori hanno scoperto come nei primi fosse possibile ritrovare con maggiore frequenza varianti di ALK non patologiche.
Ovviamente “correlation does not imply causation” (una correlazione non dimostra la presenza di un rapporto causa-effetto) dicono gli anglosassoni, quindi il gruppo ha deciso di testare i risultati ottenuti su cavie murine e insetti della specie Drosophila.
Lo studio
I ricercatori hanno spostato quindi le loro osservazioni sugli animali.
Nella Drosophila è stato osservato come l’inibizione di ALK inducesse una marcata riduzione dei livelli di trigliceridi.
Nei topi, invece, si è preferito un approccio meno “drastico”: a due gruppi di cavie, il primo knock-out per il gene ALK, mentre il secondo con la forma wild-type, è stata somministrata la stessa dieta iperlipidica.
Il gruppo di cavie knock-out per ALK ha mantenuto una condizione di normopeso e bassi livelli di trigliceridi nel sangue per tutta la durata dello studio, mentre il gruppo di controllo con il gene wild-type è via via aumentato di peso e, con esso, sono aumentati anche i livelli di trigliceridemia.
Investigando tramite varie tecniche quale fossero le modalità con cui ALK agisse sull’omeostasi del tessuto adiposo, i ricercatori hanno osservato come la trascrizione di questo gene avvenisse particolarmente in una determinata porzione dell’encefalo: il nucleo paraventricolare ipotalamico.
Che l’ipotalamo fosse coinvolto nei meccanismi di regolazione metabolica è ben noto, tuttavia, potremmo trovarci per la prima volta di fronte alla dimostrazione di come un particolare gene sia implicato direttamente nella gestione del metabolismo lipidico e, quindi, dell’obesità.
Come gli stessi ricercatori hanno affermato, se queste scoperte venissero confermate anche nell’umano, non saremmo poi così lontani da una terapia per l’obesità che si basi sullo “spegnimento” di ALK, visto che già impieghiamo farmaci che inibiscono il prodotto molecolare di questo gene per il trattamento di specifiche patologie oncologiche.