L’idrometiltionina, una molecola attualmente in studio per la cura della malattia d’Alzheimer, potrebbe essere impiegata anche nel trattamento di un’altra importante malattia dementigena a base neurodegenerativa, la demenza frontotemporale. I risultati apparsi recentemente sul Journal of Alzheimer’s Disease derivano da un trial clinico di fase 3 in cui il farmaco avrebbe mostrato dati interessanti in termini di rallentamento del declino cognitivo e dell’atrofia cerebrale nei pazienti con demenza frontotemporale.
Demenza frontotemporale
Il termine demenza frontotemporale (o FTD) fa riferimento a gruppo eterogeneo di malattie neurodegenerative caratterizzate dalla progressiva perdita di neuroni a livello dei lobi frontali e/o temporali, con conseguente alterazione delle funzioni esecutive, linguistiche e comportamentali in primis. Si tratta di una forma di demenza che esordisce tipicamente tra i 40 e i 65 anni, spesso confusa con altre forme neurodegenerative o con condizioni di interesse psichiatrico.
Tra le forme di FTD la più frequente è la variante comportamentale (o bv-FTD), responsabile da sola di più della metà dei casi di FTD e oggetto dello studio apparso sul Journal of Alzheimer’s Disease.
Idrometiltionina
Oggetto dello studio è stata la possibilità di impiegare l’idrometiltionina per rallentare la progressione del declino cognitivo e dell’atrofia cerebrale nei pazienti con bv-FTD.
L’idrometiltionina è un inibitore dell’aggregazione della proteina tau di seconda generazione che si è dimostrato efficace in studi in vitro e in vivo nel contrastare la formazione di depositi di proteina tau. Tale proteina appresenta l’elemento patogenetico centrale di un gruppo di malattie neurodegenerative definite taupatie, nel quale rientra innanzitutto la malattia d’Alzheimer ma in cui si ritrova anche la FTD. Da qui la possibilità di sfruttare il farmaco inizialmente sviluppato per la malattia d’Alzheimer nel trattamento della demenza frontotemporale.
Ulteriore dato interessante è il possibile effetto inibitorio dell’idrometiltionina anche nei confronti dell’aggregazione della proteina TDP-43, la quale è responsabile insieme alla proteina tau di più dell’80% dei casi di bv-FTD.
Infine, l’idrometiltionina sembra esercitare un effetto neuroprotettivo tramite un incremento dell’attività mitocondriale e un’inibizione dell’attivazione della microglia.
Lo studio
Il trial clinico randomizzato, controllato, in doppio ceco, di fase 3 ha coinvolto 220 pazienti con bv-FTD seguiti per 52 settimane e suddivisi in due bracci: nel primo braccio i pazienti hanno ricevuto 200 mg di idrometiltionina al giorno, nel secondo la dose era di 8 mg al giorno.
Un primo dato interessante derivante da analisi di farmacocinetica eseguite post hoc è l’andamento bifasico dell’associazione concentrazione-risposta al farmaco. È infatti emerso che concentrazioni di farmaco comprese tra 7 e 14 ng/mL, relative al dosaggio di 200 mg/die, erano associate ad outcome peggiori rispetto a concentrazioni tra 0.3 e 0.6 ng/mL, relative al dosaggio di 8 mg/die. Dunque il dosaggio più basso utilizzato come controllo per i 200 mg/die non solo si è rivelato efficace, ma ha presentato outcome migliori rispetto al dosaggio più alto.
Concentrando l’attenzione sui pazienti che hanno ricevuto 8 mg/die di idrometiltionina è emerso un ulteriore dato di nota. Nei pazienti con esposizione al farmaco corretta, ovvero nei pazienti con concentrazione del farmaco >0.376 ng/mL, si è infatti osservata una riduzione di quasi il 50% della progressione del declino cognitivo e dell’atrofia cerebrale rispetto ai pazienti con esposizione al farmaco incorretta.
Conclusioni
I dati preliminari dello studio di fase 3 sull’idrometiltionina svolto sui pazienti con bv-FTD, insieme ai precedenti ottenuti sui pazienti con malattia d’Alzheimer, fanno ben sperare riguardo l’utilizzo di un inibitore dell’aggregazione della proteina tau nei pazienti affetti da queste due taupatie. Tuttavia, allo stato attuale, si è lontani dal poter affermare una reale efficacia di tale farmaco; come affermato dagli stessi autori è infatti necessario replicare i risultati in coorti di pazienti più ampie e, soprattutto, all’interno di trial che prevedano il confronto con un placebo.
Fonti | Articolo JAD