Un recente studio pubblicato da un team di ricercatori italiani ha suggerito un semplice ma
potenzialmente rivoluzionario metodo per la diagnosi precoce del tumore dell’ovaio, il killer
silenzioso delle donne. Questo si basa sul già conosciuto e largamente utilizzato Pap-test (o test di Papanicolaou, dal nome suo ideatore), metodo di screening per il tumore della cervice uterina, su cui, secondo lo studio, può essere ritrovato materiale genetico proveniente dal tumore dell’ovaio fino a 6 anni prima della sua evidenza clinica.
Il tumore dell’ovaio
Tra le neoplasie di interesse ginecologico, il tumore dell’ovaio è certamente la più subdola e infausta: lento, inesorabile e poco sintomatico, viene frequentemente diagnosticato quando si trova a uno stadio già avanzato e per questo motivo la sopravvivenza media a 5 anni dalla diagnosi si attesta intorno al 40%. Poiché questo valore risulta estremamente maggiore quando la diagnosi è precoce, permettendo in questo caso al 90% delle donne affette di sopravvivere, la ricerca sul tumore dell’ovaio ha come obiettivo fondamentale quello di individuare metodologie di screening e di diagnosi precoce efficaci.
Proprio su questo fronte la speranza di un importante passo avanti proviene da uno studio
tutto italiano, condotto dall’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri Irccs di Milano in collaborazione con l’Ospedale San Gerardo di Monza e l’Università di Milano-Bicocca.
Lo studio
Lo studio, di tipo retrospettivo, ha preso in considerazione un campione di 17 donne con
tumore dell’ovaio sieroso di alto grado, di cui ha analizzato il materiale prelevato dai Pap-test effettuati negli anni precedenti come screening per il tumore della cervice uterina.
Sui campioni di 11 donne è stato possibile evidenziare la presenza di materiale genetico neoplastico fino a 6 anni prima della diagnosi di tumore ovarico.
In particolare, sono state utilizzate tecniche di biologia molecolare (PCR digitale) per
ricercare varianti patogene del TP53. Questo è un gene che codifica per una proteina, P53, definita “guardiano del genoma” in quanto svolge un ruolo fondamentale per la regolazione
del ciclo cellulare; il TP53 risulta mutato in molti tumori, in quanto la perdita della sua
funzione favorisce la riproduzione incontrollata delle cellule neoplastiche.
Ma come avrebbe fatto questo materiale genetico dall’ovaio a raggiungere la cervice, la porzione più bassa ed esterna dell’utero, sede del prelievo citologico del Pap-test?
Sembra che il tipo di tumore ovarico più frequente, il tumore epiteliale sieroso di alto grado, abbia in realtà origine non dall’ovaio in sé, ma dalla tuba di Falloppio; questo fa sì che vi sia un collegamento anatomico tra la sede originale della neoplasia e l’utero, con conseguente possibilità di passaggio delle cellule neoplastiche alla cervice.
Il principale limite dello studio condotto è da ricercarsi nella numerosità esigua, per cui ci
auguriamo che ulteriori studi su campioni di popolazione più ampi confermino i risultati ottenuti; se così fosse, il “vecchio” Pap-test costituirebbe un’arma fondamentale per la lotta al tumore ovarico, la cui possibilità di diagnosi precoce rivoluzionerebbe l’approccio terapeutico e modificherebbe la sorte di migliaia di donne
FONTI | Articolo originale, Linee guida AIOM