Il Coronavirus ha fatto sentire la sua influenza anche sulle più importanti società scientifiche, che hanno dovuto “re-inventarsi” per far sì che i grandi eventi che si tengono ogni anno potessero essere fruibili anche a distanza. E’ il caso della società americana di oncologia clinica (ASCO) il cui annuale congresso si è svolto virtualmente. Non per questo però sono mancate le novità.
Una parte importante del congresso è consuetamente dedicata alle neoplasie mammarie e, quest’anno, sono stati annunciati i risultati della fase III dello studio PHOEBE: un trial internazionale open-label randomizzato che si prefigge l’obbiettivo di verificare se l’associazione di Pyrotinib e capecitabina sia superiore rispetto a Lapatinib e capecitabina nelle donne affette da tumore della mammella metastatico HER2+ precedentemente trattate con chemioterapia e trastuzumab.
A proposito di questo, ricordiamo che nel 2018 il Pyrotinib è stato approvato in Cina quale trattamento (in combinazione sempre con la capecitabina) per questa tipologie di pazienti sulla base delle differenze statisticamente significative emerse dalla fase II dello studio PHOEBE.
HER2: in breve
Prima di analizzare i risultati dello studio, facciamo un passo indietro e capiamo di che tipo di tumore della mammella stiamo parlando.
Circa 1/3 delle neoplasie mammarie si sviluppano in associazione ad un’amplificazione del protoncogene ErbB2 che porta, sulla membrana della cellula tumorale, ad una iperespressione del suo prodotto proteico: il recettore 2 per il fattore di crescita epidermico umano (HER2/neu) che è un recettore tirosin-chinasico appartenente alla famiglia ErbB.
Curiosità: è chiamato HER-2/neu poiché fu per la prima volta rinvenuto amplificato in una linea cellulare di glioblastoma del roditore, un tipo di tumore neuronale.
Poiché il tumore riceve stimoli proliferativi dall’iperespressione del recettore HER2 è vantaggioso utilizzare farmaci a bersaglio molecolare che vadano a bloccare specificatamente quel recettore (un esempio è proprio il trastuzumab).
Almeno inizialmente, questi trattamenti si dimostreranno efficaci ma, con il progredire della sopravvivenza della paziente, inevitabilmente le cellule tumorali svilupperanno meccanismi di resistenza proliferativi nonostante la presenza del farmaco: da qui, la necessità di utilizzare nuovi inibitori dei recettori tirosin-chinasici.
Fatte queste doverose premesse, analizziamo lo studio.
Lo studio PHOEBE e il Pyrotinib
Pyrotinib è una molecola piccola ma con delle sorprendenti capacità: è infatti un “inibitore pan-recettoriale” di ErbB in quanto efficace nel bloccare EGFR, HER2 ed HER4.
Infatti, la famiglia dei recettori ErbB è in realtà numerosa in quanto composta da 4 recettori tirosin-chinasici:
- ErbB1 –> HER1/EGFR
- ErbB2 –> HER2/neu
- ErbB3 –> HER3
- ErbB4 –> HER4
Nel periodo che va da Luglio 2017 ad Ottobre 2018, nello studio sono state arruolate 297 pazienti, così divise:
- Gruppo 1 (134 donne) –> hanno ricevuto Pyrotinib (400mg, tutti i giorni) e Capecitabina (1000mg/m2 due volte al giorno nei giorni 1-14 di un ciclo di 21 giorni)
- Gruppo 2 (133 donne) –> hanno ricevuto Lapatinib (1250 mg al giorno, tutti i giorni) e Capecitabina (1000mg/m2 due volte al giorno nei giorni 1-14 di un ciclo di 21 giorni)
L’obiettivo dello studio era valutare se la progressione libera da malattia (PFS) fosse maggiore nel gruppo di trattamento che assumeva il Pyrotinib rispetto a coloro che assumevano Lapatinib+Capecitabina.
I risultati dello studio sono ben evidenti:
- Gruppo Pyrotinib: PFS di oltre 1 anno (12,5 mesi) con un tasso di risposta obiettiva del 67%.
E’ interessante notare come il 5% delle pazienti abbia avuto una risposta completa (contro il solo 0,8% dei pazienti nel secondo gruppo).
Non solo, questo gruppo ha avuto anche risposte più durature (11 mesi contro i 7 mesi dei pazienti che assumevano Lapatinib). - Gruppo Lapatinib: PFS di 6,9 mesi con un tasso di risposta obiettiva del 51,5%
Tutti questi numeri possono confondere.
In soldoni, le donne che hanno assunto il Pyrotinib hanno avuto una sopravvivenza libera da progressione di malattia di oltre 1 anno (e questo è un vantaggio sorprendente per pazienti con malattia metastatica) con un numero maggiore di risposte obiettive rispetto al gruppo Lapatinib.
Tra l’altro, nel gruppo Pyrotinib 53 pazienti hanno interrotto il trattamento a causa di una progressione di malattia contro i 95 del gruppo Lapatinib: un’altra conferma dell’efficacia di questo farmaco rispetto all’attuale standard of care.
Per quanto riguarda la tossicità:
- Il tasso di eventi avversi severi (grado 3 o maggiore) è stato del 57% nel gruppo del Pyrotinib contro il 34% del gruppo Lapatinib.
Coloro che hanno assunto il nuovo farmaco hanno manifestato soprattutto diarrea e sindrome mani-piedi: benché questo, nel corso dello studio l’incidenza della diarrea – comunque di bassa intensità e di breve durata – è andata progressivamente riducendosi.
I dati della sopravvivenza complessiva (OS) non sono ancora maturi, ma l’analisi preliminare sembra nuovamente confermare il trend positivo del Pyrotinib rispetto al Lapatinib.
Come si vede, il mondo dell’oncologia è continuamente alla ricerca di nuove armi e speranze terapeutiche da offrire anche alle pazienti con malattia metastatica (qualche mese fa abbiamo parlato, a proposito del tumore HER2+, del Tucatinib ) e la chiave in questa ricerca sta nell’identificare i bersagli molecolari contro cui indirizzare farmaci targhet.
Siamo a pieno titolo nell’era della tailored therapy: una terapia “cucita a misura” di paziente.
FONTI | Articolo originale, Pubmed