Da quasi un anno, SARS-COV-2 funesta le nostre vite, costringendoci a drastici cambiamenti e portandoci sull’orlo del baratro socioeconomico. Tuttavia, nonostante gli ingenti danni e il milione di morti abbondantemente superato, ben poco ancora conosciamo di questo nuovo virus. Un gruppo di scienziati inglesi ha quindi deciso di oltrepassare i limiti imposti dall’etica decidendo lanciare un progetto in cui i partecipanti verranno deliberatamente infettati da SARS-COV-2.

“È giusto infettare deliberatamente un essere umano con un virus per cui non esiste cura?”. Sebbene questa espressione appartenga più a lavori cinematografici di stampo hollywoodiano che non alla vita reale, con la recente pandemia è stato necessario rivedere questo assioma.

COVID-19, infatti, non rappresenta un’emergenza di ambito unicamente sanitario, ma anche in ambito socioeconomico in cui i governi di tutto il mondo – camminando letteralmente sul filo del rasoio – cercano di attuare misure che da un lato limitino la diffusione del virus e dall’altro non spingano sull’orlo del baratro le nostre economie.

Nonostante i passi da gigante che la scienza medica ha compiuto negli ultimi decenni, ci siamo trovati del tutto impreparati di fronte a questa sfida. E se da un lato il distanziamento, l’utilizzo di DPI e l’accurata igiene personale siano state la triade che ci ha letteralmente salvato da uno scenario ben più catastrofico, ancora poco conosciamo di questo virus.

Lo studio

Qual è la carica virale minima necessaria per infettare un soggetto? Come avviene l’infezione da SARS-COV-2? Tra tutti i comportamenti sociali, quali sono quelli che ci mettono a maggior rischio di contrarre l’infezione?

A queste e tante altre domande si è tentato di dare una risposta, ma si è sempre rimasti sul campo delle ipotesi. Per cercare di uscire dal campo delle ipotesi, e fornire delle risposte certe che permettano anche di intraprendere degli interventi di contenimento più mirati, nel Regno Unito è appena iniziata la fase di reclutamento del UK COVID CHALLENGE, uno studio basato sulla tipologia degli “Human Challenge Studies”, in cui i volontari vengono deliberatamente esposti ad un ceppo virale per osservarne le caratteristiche dal momento dell’infezione sino allo sviluppo della patologia.

Nella storia della medicina e, più in generale, della ricerca scientifica, più volte sono stati i casi in cui i ricercatori hanno oltrepassato i normali limiti imposti dall’etica per provare la veridicità delle loro scoperte.

Per avere un illustre esempio non serve andare troppo addietro nel tempo: tra il 1981 e il 1984 Barry Marshall arrivò a bere una provetta contenente i campioni prelevati dalla mucosa gastrica di una donna con gastrite cronica. Dopo pochissimo tempo egli stesso si ammalò di gastrite dimostrando che l’Helicobacter Pylori poteva resistere in ambiente acido come lo stomaco e che esso rispettava i postulati di Koch. Nel 2005, assieme a Robin Warren vinse il premio Nobel per la medicina grazie a questa scoperta sui generis.

Rimanendo invece nel campo degli Human Challenge Studies, in passato ne sono stati condotti tantissimi e su virus ben più conosciuti tra cui il virus respiratorio sinciziale (RSV) e il Rhinovirus umano (HRV), permettendo di approfondire le conoscenze su questi patogeni.

Vantaggi di uno Human Challenge Study

Perché infettare volontariamente dei soggetti sani con un virus? I motivi sono molteplici e non scontati.

Iniziamo subito da i vantaggi più immediati: gli HCS permettono di comprendere come avviene l’infezione da individuo all’altro e, nel caso del UK COVID CHALLENGE, qual è la modalità d’interazione e la carica virale minima di SARS-COV-2 necessaria ad infettare un essere umano.

Inoltre, dato che lo studio si svolge in un ambiente altamente protetto e attrezzato, è possibile studiare con estrema precisione le varie fasi dell’infezione, da quando il virus entra nell’organismo fino all’insorgenza dei sintomi e della risposta immunitaria.

Va da sé, quindi, che la piena comprensione di questi meccanismi ci permetterebbe non solo di creare DPI più adeguati e in grado di bloccare l’ingresso del virus, ma ci permetterebbe di osservare eventuali variazioni specifiche di un’infezione da SARS-COV-2 in atto nell’organismo di un soggetto, permettendo di creare protocolli diagnostici estremamente performanti.

V’è un ultimo vantaggio: la possibilità di testare l’efficacia di nuove terapie con una velocità considerevolmente più elevata rispetto ai tempi di una normale sperimentazione clinica ove è necessario osservare e seguire i soggetti con un’infezione acquisita “naturalmente” (in comunità).

Nel caso della COVID-19, lo UK COVID CHALLENGE permetterà di testare in maniera molto più veloce il vaccino, osservando in brevissimo tempo se i soggetti a cui è stato somministrato sviluppino una qualche forma di protezione e in che percentuale rispetto ai soggetti che non hanno ricevuto alcuna dose. Ecco il vero vantaggio di uno studio HCS, che permette di testare in pochi mesi un processo che richiederebbe anni nella normale pratica clinica.

Rischi di uno Human Challenge Study e implicazioni etiche

Veniamo ora ai rischi di questa sperimentazione.

Solitamente, in un classico studio di questo tipo, si presuppone che i soggetti vengano infettati da un patogeno per cui esista già un gold standard terapeutico. Il motivo di questa scelta è che eventuali infezioni gravi possono essere trattate immediatamente, senza mettere a rischio la vita del soggetto.

Nel caso della UK COVID CHALLENGE, invece, questa garanzia per i partecipanti non esiste: le cosiddette “cavie umane” verranno infettate da un virus per cui non v’è cura.

È chiaro che questa scelta ha sollevato evidenti dubbi di stampo etico, in quanto ai soggetti è richiesto di assumersi un rischio decisamente elevato (che può essere rappresentato anche dall’esito più nefasto). Tuttavia, come affermato dalla stessa società che si occuperà di portare avanti lo Human Challenge Study (e che in passato ne ha condotti altri):

“COVID-19 costituisce un altissimo rischio alla salute pubblica e alla stabilità socioeconomica ma lo human challenge study è il mezzo più veloce e sicuro per produrre una terapia efficace […] verranno prese tutte le precauzioni del caso e lo studio sarà condotto in una struttura di altissimo livello”.

Quindi, onde evitare che durante lo studio possano palesarsi gravi forme di COVID-19, per la prima parte dello studio che dovrebbe iniziare nei primi mesi del 2021, verranno reclutati esclusivamente soggetti in ottimo stato di salute, senza condizioni sottostanti (diabete e obesità in primis) e di età inferiore a 30 anni. A mano a mano che si comprenderà meglio questa patologia e, magari, si saranno scoperte terapie efficaci, i ricercatori prevedono di ampliare la platea anche a individui di età maggiore, per comprendere meglio come la COVID-19 i caratteristici segni e sintomi in questi soggetti.

Per maggiori informazioni:

UK COVID CHALLENGE

Sito web della hVIVO sugli Human Challenge Programme, società che si occuperà di condurre lo studio

Jacopo Castellese
Appassionato di scienza e tecnologia. Quando non sono impegnato in attività di reparto o di studio cerco sempre di tenermi aggiornato in modo da scardinare le false credenze che le pseudoscienze di oggi (o il dr. Google di turno) cercano di affermare.