E’ da qualche anno che si parla di una nuova classe di farmaci potenzialmente utili per il trattamento di cefalee di varia natura, ma soltanto negli ultimi mesi stanno emergendo le reali prove di efficacia di queste sostanze: parliamo dei cosiddetti “CGRP-inibitori”.

Ma andiamo con ordine.

Cos’è il CGRP?

Il peptide correlato al gene della calcitonina, per gli amici “CGRP”, è stato descritto per la prima volta nel 1983. Si tratta di una molecola composta da 37 amminoacidi con una potente azione vasodilatatoria. Ciò che lo rende interessante nel campo della neurologia è la sua spiccata presenza a livello del sistema trigeminovascolare, un’area del sistema nervoso coinvolta nell’insorgenza di cefalee e, in particolare, delle emicranie. Da qui la possibilità di intervenire in questo circuito bloccando l’azione del CGRP e interrompendo la catena di eventi che portano alle dolorose sindromi emicraniche.

I farmaci anti-CGRP

La commercializzazione dei farmaci anti-CGRP è iniziata nel 2018 e, ad oggi, conta 6 principi attivi: 2 (Rimegepant e Ubrogepant) a somministrazione orale e 4 (Eptinezumab, Erenumab, Fremanezumab e Galcanezumab) somministrabili per via iniettiva. Se i primi, avendo una durata d’azione molto breve, sono utilizzati esclusivamente come terapia al bisogno, i secondi presentano il grande vantaggio di richiedere un’unica somministrazione mensile (o trimestrale) e sono perciò più adatti alla profilassi, soprattutto in pazienti che presentano molti episodi di emicrania nell’arco di un mese.

Il caso Erenumab

Tra i vari farmaci sopra citati, l’Erenumab, un anticorpo monoclonale anti-recettore del CGRP, si sta dimostrando particolarmente efficace nel suo scopo. Sulla rivista “Headache” sono stati recentemente pubblicati i risultati di uno studio osservazionale retrospettivo di Fase 4, ovvero di sorveglianza post-marketing, condotto dalla Mayo Arizona’s Headache Clinic. I medici responsabili del progetto hanno valutato le risposte all’Erenumab in pazienti con emicrania cronica, episodica, post-traumatica o da abuso di farmaci, refrattari a terapie di prima, seconda o terza linea. Alcuni di questi pazienti avevano precedentemente provato fino a 11 farmaci alternativi senza beneficio; in altri casi si trattava di soggetti che non avevano risposto persino a dispositivi di neuromodulazione invasivi e non. 

Il protocollo prevedeva 6 infusioni mensili per un totale di 6 mesi di terapia, con controllo giornaliero della sintomatologia effettuato tramite diario tenuto dal paziente o reporting telefonico. Dei 101 partecipanti iniziali, è stato possibile estrapolare dati significativi riguardanti soltanto 43 pazienti; i restanti sono stati persi al follow-up o non hanno completato il ciclo di 6 sedute. I risultati sono stati però significativi: il numero di giorni con emicrania è sceso di ben 8,4 giorni/mese, passando da un valore di 19,1 a 10,7. Il dato è ancor più rilevante se considerato che il campione di partecipanti presentava diverse comorbidità, peraltro gestite farmacologicamente: depressione (45,5%), ansia (43,6%), dolore cronico (35,6%), sindromi infiammatorie intestinali (26,7%). 

Tra gli effetti collaterali riportati, i più frequenti sono stati stipsi (23,8%), reazioni aspecifiche nel sito di iniezione (13,9%) e peggioramento paradosso dell’emicrania (8,3%).

Prospettive future

La terapia con farmaci anti-CGRP è ancora relativamente giovane, sebbene ormai integrata nei protocolli di gestione dell’emicrania. Lo studio della Mayo Clinic è tra i primi a dimostrare quanto questi farmaci possano fare la differenza, specialmente in pazienti refrattari ad altre linee di terapia e carichi di comorbidità. Certamente la strada da fare per migliorare le condizioni di vita di questi pazienti è ancora lunga, ma l’Erenumab e affini stanno dimostrando sempre di più la loro efficacia, e potranno di certo contribuire alla causa.

Revisore: Simone Salemme

Fonti │ Headache, Lista CGRP-inibitori Immagine in evidenza