Forse, ci siamo: Pfizer, Moderna e Astrazeneca hanno annunciato i primi risultati dei loro studi di fase 3 per i vaccini che ci aiuteranno a combattere SARS-CoV-2 e a far ritornare alla normalità le nostre vite. Vediamo come viene sviluppato un vaccino, quali sono i papabili candidati e le tempistiche per vederlo distribuito tra la popolazione.

Che cosa è un vaccino?

Un vaccino è un preparato biologico il cui scopo non è curare una malattia infettiva bensì prevenirla.

In parole estremamente semplici, si sfrutta la capacità che possiede il nostro sistema immunitario di ricordare i patogeni con cui è entrato in contatto “addestrandolo” a riconoscere un particolare microbo prima di entrarne in contatto, in modo tale da prevenire la patologia che esso causa e prevenirne la diffusione tra la popolazione.

Il vaccino è, quindi, uno strumento di prevenzione atto non solo a preservare l’incolumità e la salute del singolo individuo ma anche dell’intera comunità: se un numero sufficiente di persone si vaccina, il patogeno (virus o batterio che sia) non può più diffondersi.

Inoltre, grazie alla vaccinazione si è in grado di proteggere le fasce della popolazione più suscettibili e che, spesso, non possono essere vaccinate grazie ad un fenomeno definito “immunità di gregge”: se una percentuale sufficiente di soggetti si vaccina (percentuale determinata sulla base delle caratteristiche di trasmissibilità del patogeno, quali modalità di trasmissione e numero di riproduzione di base), si è in grado di proteggere anche chi non è ancora vaccinato o non può essere vaccinato perché il patogeno non ha materialmente la possibilità di incontrare un ospite da infettare non immunizzato.

Senza rischiare di suonare iperbolici, quindi, si può anche asserire che il vaccino è la migliore arma che abbiamo per debellare le patologie infettive: la prova di questo fenomeno arriva dagli anni 70, decennio in cui l’OMS ha dichiarato debellato il vaiolo proprio perché un elevato numero di soggetti tra la popolazione mondiale era stata vaccinata, bloccando definitivamente la circolazione del virus.

Quali sono le fasi dello sviluppo?

Un vaccino segue, come tutti i farmaci che vanno messi in commercio, un iter molto rigido e molto ben strutturato; si tratta di studi suddivisi in quattro fasi più la fase preclinica, in ognuna delle quali vengono analizzati diversi aspetti:

  • Fase preclinica: vengono testate diverse forme di vaccino (patogeno attenuato, porzioni di patogeno, eccetera) in vitro e/o su cavie animali (principalmente scimmie e roditori, simili biologicamente all’essere umano) per capire quale porzione induce immunizzazione e osservare eventuali effetti collaterali.
  • Fase 1: il testing si sposta da questa fase in poi sull’essere umano. In questa fase viene reclutato un numero estremamente ristretto di soggetti (si parla nell’ordine delle decine) che rispondono a strettissimi requisiti clinici. Si determina il dosaggio minimo tramite il quale viene indotta l’immunizzazione e non si presentano effetti collaterali.
  • Fase 2: il numero di soggetti reclutati aumenta, ora si parla di centinaia di individui e il candidato vaccino viene somministrato a dosi diverse, in modo da osservarne la capacità di indurre immunità in base alla dose e la presenza e frequenza di particolari effetti tossici. I soggetti vengono, inoltre, suddivisi in gruppi basati su caratteristiche particolari (ad esempio l’età) per osservare come ognuno di questi gruppi risponde.
  • Fase 3: la fase immediatamente precedente alla commercializzazione. Vengono reclutati migliaia di individui in diversi centri sparsi per il mondo che rimangono sotto osservazione per diverso tempo in modo da osservare se il vaccino offra una protezione e come questa protezione si modifichi nel tempo (solitamente la fase 3 dura anni, ma nel caso dell’emergenza che stiamo vivendo si parla di mesi).

Per capire se un vaccino protegge effettivamente dal patogeno per cui è stato creato, la fase 3 è caratteristicamente uno studio a doppio cieco in cui a metà volontari viene somministrato il vaccino vero e proprio mentre all’altra metà un placebo (spesso semplice soluzione salina): né i partecipanti, né gli esperti che stanno conducendo lo studio sono a conoscenza di chi sta ricevendo il vaccino e chi sta ricevendo il placebo.

Al termine della fase 3 (che termina dopo un determinato periodo di tempo e/o quando un numero predeterminato di soggetti è stato infettato dal patogeno) si osservano i risultati valutando quanti soggetti sono stati infettati nel gruppo di chi ha ricevuto il vaccino e quanti, invece, nel gruppo di chi ha ricevuto il placebo.

In base al numero di soggetti infettati, si stabilisce la percentuale di efficacia del vaccino, ossia quanti, tra coloro che hanno ricevuto la dose di vaccino, hanno avuto una risposta immunizzante: nel caso del vaccino sviluppato da Biontech e Pfizer, avere una percentuale di efficacia del 90% (dichiarata, siamo ancora in attesa di vedere i dati) significa che 9 soggetti su 10 che hanno ricevuto il vaccino erano effettivamente protetti dall’infezione da SARS-CoV-2. Questa è un’eccezionale notizia, perché per tenere sotto controllo SARS-CoV-2 ed evitare un sovraccarico sui sistemi sanitari (secondo gli ultimi dati) basterebbe un efficacia del 60%.

  • Fase 4: le agenzie del farmaco sparse per il mondo (FDA negli USA, EMA in Europa e AIFA in Italia) analizzano i dati e, se il vaccino soddisfa tutti i requisiti di efficacia e sicurezza, lo dichiarano disponibile al commercio e alla somministrazione. La fase 4 non ha una data termine e durerà per tutto il tempo in cui il vaccino sarà in commercio, continuando a valutarne efficacia, effetti collaterali e/o indesiderati sulla popolazione.

Tutto questo iter (esclusa la fase 4), finora, ha avuto la durata di 10 anni circa: nel caso della pandemia da SARS-CoV-2 si è riuscito a fare l’impossibile, concentrando tutte queste fasi in meno di un anno.

Se ai posteri consegneremo le storie di questi mesi incredibilmente difficili, consegneremo anche un’eredità straordinaria che ci aiuterà contro le pandemie future.

Quali parametri vanno analizzati?

È chiaro che i primissimi parametri che vanno valutati per decretare efficace un vaccino sono sostanzialmente due: indurre efficace immunizzazione nel gruppo dei soggetti vaccinati e non provocare effetti collaterali o – quantomeno – non indurne di gravi. È chiaro che effetti collaterali come malessere transitorio o dolenzia nella zona di inoculazione (tipici della vaccinazione antinfluenzale) possono essere tranquillamente tollerati, mentre reazioni importanti che possono mettere a rischio la vita del soggetto (reazioni anafilattiche o tossicità) non depongono assolutamente a favore del candidato vaccino.

Ciò, però, non basta: quando si va ad analizzare un candidato vaccino bisogna porre l’attenzione su altri particolari concetti, che decreteranno non solo le strategie di vaccinazione future ma anche le modalità con cui questo vaccino potrà essere distribuito.

Il primo concetto di cui va tenuto conto quando si analizza un vaccino è la capacità di indurre immunità sterilizzante.

Per spiegare questo concetto, prendiamo l’esempio dell’emergenza che ci troviamo a vivere e facciamo un flash-forward nel futuro a 12 mesi da ora, analizzando due possibili scenari:

  • Il vaccino conferisce immunità sterilizzante: nel caso in cui un candidato vaccino indurrà immunità sterilizzante e un numero sufficiente di individui si sottoporrà alla vaccinazione, potremo tornare alle nostre vite senza grosse preoccupazioni; potremo dire addio alle mascherine e al distanziamento mentre feste, incontri con amici, abbracci, baci e tutto quello che abbiamo perso tornerà ad esserci.

Questo perché un’immunità sterilizzante è un tipo di immunità in cui vengono prodotti – appunto – anticorpi sterilizzanti che debellano completamente il patogeno: non appena entrano in contatto con il patogeno questo viene immediatamente eliminato (nel caso di SARS-CoV-2 dalle nostre vie aeree). In parole semplici, possedere questo tipo di immunità significa non ammalarsi e non essere assolutamente contagiosi.

Un esempio di vaccino che induce immunità sterilizzante è il vaccino contro il papilloma virus (HPV)

  • Il vaccino non conferisce immunità sterilizzante: in questo caso, dovremo ancora convivere con il virus e, molto probabilmente, con mascherine e altri DPI, ma sicuramente con meno preoccupazioni per noi stessi, per la comunità e per il carico sui sistemi sanitari.

Questo perché sebbene i soggetti vaccinati non svilupperanno la COVID-19 (o quantomeno una forma severa), il virus potenzialmente potrebbe comunque replicarsi nelle loro vie aeree e, quindi, circolare.

Pertanto, se il vaccino non conferisse un immunità sterilizzante, anche se vaccinato e protetto dalla COVID-19 un soggetto sarebbe comunque contagioso, costituendo un rischio per chi non è ancora vaccinato o non può essere vaccinato: continueremo ancora ad utilizzare le mascherine e ad applicare il distanziamento sociale, ma con meno restrizioni sui nostri stili di vita.

Un esempio di vaccino che induce un immunità non sterilizzante è il vaccino antipolio a virus inattivato di Salk.

È chiaro, quindi, che l’obiettivo ultimo è avere un vaccino efficace, sicuro e che conferisca immunità sterilizzante, in modo tale da permettere di decretare finita la pandemia: il virus non si replicherebbe più in chi è vaccinato e, vaccinando un numero sufficiente di soggetti, si potrebbe raggiungere l’immunità di gregge, proteggendo anche chi non può vaccinarsi.

Altro concetto da valutare, non meno importante, è la durata della copertura: quanto durerà la protezione dopo essere stati vaccinati? A vita, per alcuni mesi o anni? È chiaro che la durata cambia radicalmente le strategie e i piani di vaccinazione: se la copertura durasse mesi sarebbe necessario creare un’infrastruttura che possa sostenere la necessità di ripetute vaccinazioni, se durasse anni è chiaro che le strategie di vaccinazione potrebbero essere più “rilassate” e non sarebbe necessaria un’infrastruttura massiccia per raggiungere gli obiettivi di vaccinazione di massa.

Quindi, alla domanda: “quanto dura la protezione?” La risposta è: “ancora non lo sappiamo”. Alcuni studi sono già stati pubblicati (anche molto promettenti, come questo), altri verranno pubblicati nei prossimi mesi. Per adesso, possiamo ipotizzarlo dai dati che provengono da altri virus appartenenti alla famiglia delle Coronaviridae come SARS-CoV-2, ma non c’è alcun altro modo di saperlo se non, letteralmente, aspettare: solo valutando come si modificherà nel tempo il comportamento del sistema immunitario nei soggetti precedentemente affetti da COVID-19 e nei soggetti vaccinati potremo rispondere a questa domanda.

Questo interessante articolo su Science ci parla delle diverse variabili e dei possibili scenari che ci si parano d’innanzi: da un vaccino o un’infezione che conferisce immunità sterilizzante alla possibilità che la protezione verso SARS-CoV-2 possa essere limitata nel tempo (waning immunity).

In ultimo, quante dosi sono necessarie per soggetto? Anche questa problematica determinerà le strategie di vaccinazione. È chiaro che se basterà solo una dose si potrà vaccinare inizialmente più soggetti, mentre se il numero di dosi necessarie fosse maggiore di una, è chiaro che il numero di vaccini disponibili inizialmente diminuirebbe.

I vaccini attualmente in fase di sviluppo

Veniamo ora a quali metodologie stanno lavorando le varie case farmaceutiche di tutto il mondo.

Vaccini a mRNA (RNA messaggero)

La vera novità in ambito vaccinale.

*In quanto costretti a seguire le crude regole della sintesi, ci teniamo a precisare che la trattazione di argomenti come i meccanismi di trascrizione genetica e la replicazione virale è di per sé complessa, quindi si rimanda il lettore ad articoli e testi scientifici specifici sulle tematiche

L’acido ribonucleico (RNA, RiboNucleic Acid) è un acido nucleico a singola elica che contiene le informazioni necessarie ad assemblare le proteine per le varie funzioni biologiche.

Mentre noi esseri umani e gran parte degli organismi definiti “complessi” possediamo una doppia elica di DNA (Acido DesossiriboNucleico, che custodisce le informazioni genetiche) da cui viene trascritta un’elica di mRNA (ove la “m” sta per “messaggero” perché contiene l’informazione della proteina da produrre) che verrà poi “letta” per produrre la proteina necessaria, SARS-CoV-2 possiede direttamente una singola elica di RNA che contiene le informazioni necessarie ad assemblare nuove copie di virus.

I vaccini che si basano su questo nuovo meccanismo, contengono esclusivamente la porzione di RNA messaggero codificante per la proteina di membrana S (spike) di SARS-CoV-2, la struttura che il virus utilizza per penetrare nelle nostre cellule.

In poche parole, tramite un meccanismo a membrane lipidiche (che ha sollevato alcune problematiche per la necessità di conservazione a temperature estremamente sotto lo zero), si veicola la porzione di RNA codificante per la proteina S di SARS-CoV-2 direttamente all’interno delle nostre cellule.

A quel punto, l’elica di mRNA verrà processata dai ribosomi cellulari (le strutture cellulari che “leggono” l’RNA messaggero e assemblano le proteine) i quali cominceranno a produrre centinaia di migliaia di copie di proteina S, per poi rilasciarle nell’ambiente extracellulare.

Il nostro sistema immunitario, quindi, entrerà in contatto con queste proteine virali prodotte dalle nostre stesse cellule, sviluppando una risposta immunizzante necessaria a debellare il virus se e quando vi entrerà in contatto.

Nella puntata di “Che tempo che fa” del 15/11/2020, il Professor Burioni ha spiegato in termini molto semplici come funzionano i vaccini a mRNA. Il video è disponibile qui.

I vaccini delle aziende Moderna e Pfizer, si basano su questa modalità.

Recentemente, soprattutto tra le frange negazioniste della popolazione, si sta diffondendo la voce secondo la quale questa tipologia di vaccini “andrebbe a modificare le nostre cellule direttamente al cuore, ovvero il codice genetico, mettendo in atto un’opera di ingegneria genetica di massa”. Ciò è assolutamente falso e quantomai lontano dal vero: in questo articolo (in inglese), si spiega perché.

Vaccini a vettore virale

Questa modalità di vaccinazione è già stata testata e ha funzionato alla grande contro l’epidemia di Ebola. Ne abbiamo già parlato in questo articolo.

Trattasi di vaccini costituiti principalmente da virus ingegnerizzati per penetrare all’interno delle nostre cellule e indurre la produzione di proteine di SARS-CoV-2.

L’idea alla base non differisce da quello dei vaccini a mRNA: l’obiettivo, infatti, è quello di indurre la produzione di centinaia di migliaia di copie della proteina S, in modo da indurre una risposta immunitaria contro SARS-CoV-2.

Tuttavia, la sostanziale differenza è che il trasporto e la consegna dell’informazione necessaria a produrre copie di proteina S avviene tramite un virus non patogeno per l’uomo: prendendo ad esempio il candidato vaccino dell’università di Oxford e AstraZeneca, il vettore virale è un adenovirus ricombinante (denominato ChAdOx1), reso incapace di replicarsi nell’uomo e di indurre risposta immunitaria ma perfettamente capace di penetrare nelle nostre cellule e indurre la produzione di copie di proteina S.

Da quel momento in poi il meccanismo è del tutto simile ai vaccini a mRNA: le cellule libereranno queste copie di proteina S nell’ambiente extracellulare e il nostro sistema immunitario, entrandovi in contatto, produrrà una risposta immunizzante.

Per questa tipologia di vaccino, noi italiani abbiamo due motivi per esserne orgogliosi: il vettore virale del vaccino dell’Università di Oxford e di AstraZeneca (ChAdOx1) è di fabbricazione italiana, dell’Irbm di Pomezia, mentre all’IRCCS Lazzaro Spallanzani di Roma è in sperimentazione il vaccino della Reithera, basato sulla medesima formulazione.

Altri candidati vaccini che si basano su questa modalità sono lo Sputnik V di produzione russa e il vaccino della cinese CanSino bio, entrambi già approvati per l’uso nei rispettivi paesi d’origine, sollevando non poche problematiche di carattere scientifico ed etico tra gli osservatori occidentali.

Vaccini a proteine virali

La formulazione di questi vaccini, non prevede l’inoculo di alcun materiale genetico o di alcun virus, bensì di proteine di SARS-CoV-2 purificate o porzioni di esse.

Tramite questa modalità, si saltano tutte le fasi viste negli altri candidati vaccini e si inocula direttamente la porzione di SARS-CoV-2 verso la quale si vuole indurre immunizzazione.

Esistono diversi rappresentanti illustri di questa classe di vaccini: anti-pneumococco e anti-meningococco sono un esempio di vaccini che usano frammenti purificati del patogeno per indurre un’immunizzazione.

Vaccini a virus vivo attenuato o a virus inattivato

Come la precedente, anche questa modalità di vaccinazione è già stata messa in atto per altre malattie infettive.

Nella modalità a virus “attenuato”, viene inoculata una forma di SARS-CoV-2 processata in laboratorio usando ripetuti passaggi colturali in condizioni subottimali di crescita. Il virus, quindi, viene reso incapace di indurre la malattia ma perfettamente capace di replicarsi e, quindi, di indurre risposta immunizzante.

Inoltre, la replicazione del virus fa in modo che questo sia continuamente esposto al “contatto con il nostro sistema immunitario”, così da indurre una forte e duratura risposta immunizzante: a questa categoria appartengono, infatti, gran parte dei vaccini per cui è richiesta una singola dose a vita.

Tuttavia, come per altri vaccini basati sulla stessa formulazione, sussiste il rischio che il virus possa riacquisire la sua patogenicità, inducendo la malattia classica (come avviene, ad esempio, con l’antipolio di Sabin, anche se i casi sono molto rari).

Il virus inattivato, invece, come suggerisce la stessa parola è un virus non capace di svolgere le proprie funzioni, quindi privo di qualsiasi patogenicità e di capacità di replicazione. Il vantaggio di questa formulazione è che non sussiste il rischio che il virus si possa riattivare e causare la malattia, gli svantaggi sono costituiti dal fatto che la protezione può non essere duratura e che possono essere necessarie più dosi.

Tempistiche

Cominciamo subito a mettere le mani avanti: sono necessari dei dati prima di poter fare delle previsioni.

Per quanto gli annunci da parte di Pfizer, Moderna e AstraZeneca ci permettano di provare un forte senso di ottimismo (pensate, infatti, all’assurdità di annunciare un risultato clamoroso che non si riveli tale date le ovvie ripercussioni in termini economici e di credibilità che potrebbero esserci), si parla comunque… di annunci.

Bisognerà attendere la pubblicazione dei dati su riviste scientifiche altamente specializzate, prima di lanciarci in ipotesi sui tempi e sulle modalità.

Vero è che il nostro sistema sanitario si sta già preparando per predisporre un piano di vaccinazione di massa: è notizia del 19/11/2020 che il Commissario per l’emergenza Arcuri ha previsto che i primi a ricevere la dose saranno gli operatori sanitari e i lavoratori e ospiti delle RSA, per continuare con le forze dell’ordine e concludere con la popolazione generale. Inoltre, le regioni si stanno già attrezzando per predisporre strutture di stoccaggio altamente specializzate, visto che il vaccino della Pfizer (che ha dedicato circa 2 milioni di dosi all’Italia per fine gennaio 2021, ma il numero è destinato a cambiare viste le trattative in corso) necessiterà di essere mantenuto a temperature di 80 gradi sottozero.

Come il presidente di Biontech (l’azienda che ha ideato il vaccino di Pfizer) ha annunciato:

“Già questa estate vedremo i primi effetti del vaccino e si potrà ritornare alla normalità nell’inverno 2021.”

Ugur Sahin, Presidente di Biontech

Il successo del vaccino, non dipenderà solo dalle caratteristiche intrinseche dello stesso, ma anche dall’infrastruttura che servirà a sostenerne produzione e distribuzione e dalla partecipazione da parte della popolazione ai programmi di vaccinazione.

In ogni caso, avremo creato un precedente illustre: se questi vaccini (e in particolare i vaccini a mRNA) si dimostreranno efficaci e sicuri, nelle future pandemie potremo sviluppare nuovi vaccini con una velocità incredibile, permettendoci di rispondere immediatamente a qualsiasi minaccia microbiologica ci si pari innanzi.

Ecco qualche risorsa per approfondire:

Jacopo Castellese
Appassionato di scienza e tecnologia. Quando non sono impegnato in attività di reparto o di studio cerco sempre di tenermi aggiornato in modo da scardinare le false credenze che le pseudoscienze di oggi (o il dr. Google di turno) cercano di affermare.