Quando si parla di cibo piccante l’opinione comune si divide in due: c’è chi non può non averlo a tavola e chi invece fugge via impaurito. Ma a parte “accendere” i sapori, togliere il respiro, farci strabuzzare gli occhi e farci arrossire le gote, come mai il piccante è così studiato e analizzato? E come mai un recente studio di Nature lo prende in esame addirittura in ambito ematologico? Vediamolo insieme.

FARMACOLOGIA DELLA PICCANTEZZA

Innanzitutto bisogna dire che il componente principale del peperoncino e degli oli piccanti è la capsaicina, un alcaloide estremamente stabile, che non teme cottura, congelamento o lunghe conservazioni. La capsaicina è prodotta da alcune ghiandole collocate tra la parete del baccello e la placenta (tessuto che nei peperoncini sorregge i semi), e si pensa che sia una forma di difesa da parte della pianta, indirizzata contro funghi e mammiferi: una sorta di deterrente a mangiare il frutto, insomma.

Nel nostro corpo, la capsaicina attiva i recettori VR1 (Vanilloid receptor Type 1), i quali sono di solito stimolati da temperature tra i 43 °C e i 52 °C: ecco spiegato l’effetto di calore e bruciore virtuale che si produce dopo l’ingestione di peperoncino. Curiosamente, gli uccelli non possiedono questi recettori, e ciò spiega come mai essi sono dei perfetti “corrieri” per i semi di peperoncino, e il loro ruolo fondamentale nella proliferazione e diffusione ambientale di queste piante.

LA SCALA DI SCOVILLE

Scala di Scoville

A seconda della concentrazione di capsaicina, il peperoncino assume una maggiore o minore piccantezza, classificabile nella temutissima scala di Scoville, dove l’unità di misura è l’SHU, o Scoville Heat Unit.

I comuni peperoncini raggiungono quote di 100, massimo 1000 SHU, mentre il celeberrimo Habanero si aggira tra i 100k e i 350k SHU. Gli spray antiaggressione arrivano a 5 milioni di unità. Con 16 miliardi di SHU domina la vetta la Resiniferatossina, sostanza prodotta da alcuni cactus del Marocco e della Nigeria.

 

UTILIZZI E APPLICAZIONI MEDICHE DELLA CAPSAICINA

Accanto all’uso in cucina, la capsaicina è stata a lungo studiata per possibili applicazioni in campo farmacologico. Tra le altre cose sono stati sviluppati unguenti e cerotti analgesici per dare sollievo a dolori muscolari, artropatie e distorsioni. Sono stati inoltre approvati trattamenti contro la nevralgia post-erpetica da Herpes Zoster, conosciuta anche come fuoco di Sant’Antonio. Per non parlare di alcuni studi che sosterrebbero un ruolo protettivo dato da questo alcaloide nei confronti di diabete, tumori e malattie cardiovascolari.

LO STUDIO DI NATURE

In uno studio recentemente pubblicato su Nature, Gao et al hanno analizzato su cavie murine un possibile nuovo ruolo per la capsaicina, visto per la prima volta come attivatore di alcuni neuroni presenti nel contesto del midollo osseo.

Un momento, cosa ci fanno dei neuroni nel midollo osseo?

La risposta non è così scontata, e anzi è ancora oggetto di studio. Il midollo osseo è la sede di produzione delle cellule staminali ematopoietiche, ovvero quelle col compito di differenziarsi in globuli rossi e bianchi. Per far sì che queste cellule inizino il loro percorso “evolutivo”, è necessario che esse escano dal midollo e si immergano nel flusso sanguigno. Ciò che le spinge a migrare sono alcuni fattori di crescita, tra cui il G-CSF (fattore stimolante le colonie di granulociti). Ebbene, il gruppo di ricercatori guidato da Gao ha scoperto che il G-CSF non solo agisce direttamente sulle cellule staminali ematopoietiche, ma stimola anche questa popolazione di neuroni nella produzione di un’altra molecola molto interessante, il CGRP (un peptide, tra l’altro, importante nella fisiopatologia dell’emicrania). Con una serie di eventi a cascata, il CGRP stimola la migrazione cellulare delle cellule di cui sopra, iniziando così il processo di differenziazione.

Dunque, la prima grande rivoluzione di questo studio è comprendere che sono proprio questi neuroni ad “aiutare” la produzione di globuli rossi e altre cellule del sangue! Ma non finisce qui.

CAPSAICINA ED EMATOPOIESI

La domanda che ora sorge spontanea è: che cosa c’entra questo discorso con la capsaicina?

Ebbene, quei neuroni di cui abbiamo parlato sono risultati essere dei neuroni “nocicettivi” ovvero capaci di percepire il dolore, o meglio, le molecole che producono l’effetto “dolore”. E tra queste, sì, avete indovinato, proprio la capsaicina. Mediata dal CGRP, anche la capsaicina attiva la cascata che culmina con la mobilizzazione dei progenitori staminali nel torrente ematico! Nello studio, infatti, a seguito di una dieta ad alto contenuto di capsaicina, i topi esaminati dal gruppo di Gao hanno dimostrato un incremento nel numero di cellule staminali, incremento che poi si è completamente annullato quando gli stessi neuroni nocicettori sono stati bloccati farmacologicamente.

Meccanismo di stimolazione mediato dalla capsaicina

APPLICAZIONI E RISVOLTI FUTURI

Lo studio di Nature introduce un nuovo capitolo nello studio dell’ematologia e della fisiologia umana, andando a tracciare inesplorate connessioni tra sistema nervoso e sistema ematopoietico. Le applicazioni di questa scoperta potrebbero aprire risvolti interessanti nell’ambito delle malattie ematologiche o dei trapianti di midollo. Infatti, nei pazienti colpiti da leucemie o altri tumori del sangue, sottoposti a pesanti cicli di chemioterapia, la quota di cellule staminali ematopoietiche si riduce, e parimenti la loro mobilizzazione. Sarà interessante capire se la capsaicina o farmaci strutturalmente simili potranno aiutare il midollo osseo di questi pazienti a ricominciare una più congrua produzione di cellule del sangue, per poter contrastare più efficacemente gli effetti collaterali della chemioterapia e tornare più velocemente ad una vita normale.

Autore: Dott. Orlando Malanga | Revisore: Dott. Simone Salemme

Fonti │ Nature, NCBI

Fonte immagine in evidenza | Daily Mail